martedì 28 novembre 2017

Calendario dell'Avvento

Calendario dell'Avvento

Salve a tutti!

Questo è un post infrasettimanale per  comunicarvi che quest’anno ho pensato anch’io per My day worth ad un Calendario dell’Avvento da condividere con chi di voi lo vorrà.

Basterà iscriversi compilando questo piccolo modulo.

(qui c'era un modulo :-) )

Potete farlo fino al 23 dicembre e recuperare le caselle precedenti dal link all'archivio che troverete nella mail.

Cosa succederà dopo?

Che dal 1 al 24 dicembre riceverete ogni giorno nella vostra mail una ‘confidenza’ sulle mie abitudini felici.

Alcune è da un po’ che le ho adottate altre invece sono più recenti.

L’idea è quella di… stupirvi con effetti speciali!

Scherzo :-)

E’ un modo per me di ringraziare questo 2017 per le nuove consapevolezze che mi ha donato e e di ricambiarlo condividendole con chi è alla ricerca di ispirazione su questo tema.

Saranno dei testi brevi, prometto!  A volte magari con dei link di approfondimento.

Vi aspetto allora il 1 dicembre.

Amina

AGGIORNAMENTO: ho raccolto le Abitudini Felici in un documento che puoi scaricare qui

lunedì 27 novembre 2017

Ispirazione del lunedì

Assunta Corbo

Vi ho spiazzato? settimana scorsa vi ho detto che il mio Ikigai è la scrittura e oggi vi propongo 'solo' una citazione?

Magari lo state pensando per davvero ;-)

Ebbene, queste parole di Assunta le considero il cuore del contesto più ampio dal quale le ho estrapolate e mi stanno aiutando a fare chiarezza su alcuni rapporti che nella mia vita quest'anno sono cambiati.

Spero siano di ispirazione anche per voi.

E poi... volevo cimentarmi con Canva anche se con una composizione semplice semplice.

Che sia una buona settimana per tutti noi!

lunedì 20 novembre 2017

Ikigai di Bettina Lemke

Ikigai di Bettina Lemke

Ikigai di Bettina Lemke per Giunti Editore

Appena tornata da New York, dopo aver scritto i numerosi post sul viaggio, mi sono dedicata alla lettura di questo libro di Bettina Lemke che ha come sotto titolo Il metodo giapponese.  Trovare il senso della vita per essere felici. Non male, è? Infatti ha colpito anche me quando ho visto la copertina del libro pubblicata da un mio contatto su Instagram tanto che l’ho acquistato subito.

Non è solo un libro di lettura ma di esercizi per trovare appunto il proprio ikigai.

Se alla fine l’ho trovato il mio ikigai? La risposta è: sì!

Prima di condividere con voi il risultato però vi riassumo un po’ in cosa consiste questo metodo per chi ancora non avesse mai intercettato l’immagine con i cerchi che s’incrociano, tipo questa.

Cerchi Ikigai

Il metodo ikigai riguarda quattro tematiche che si intersecano restituendo le componenti del nostro ikigai che sono passione, professione, vocazione, missione.

Le quattro tematiche invece sono:

  • ciò che  ci piace fare

  • ciò che siamo bravi a fare

  • ciò per cui per cui veniamo remunerati o potremmo venire remunerati

  • ciò di cui il mondo ha bisogno

La risposta a queste domande ci restituirà ciò per cui non vediamo l’ora di alzarci la mattina perché ci regala ‘motivazione, entusiasmo, energia e anche longevità’.

Ci sono casi in cui l’ikigai è palesemente evidente come l’esempio che fa Bettina nel suo libro della pianista che ha trovato nella musica il suo ikigai a tutto tondo poiché quando suona fa una cosa che ama, fa ciò per cui ha talento  e di cui il mondo ha bisogno (il suo pubblico trae sicuramente benessere dalle sue performance) e lo fa di professione. Meglio di così?

Questo l’esempio che fa Bettina.

L’altro giorno invece ho intercettato su Twitter il feed di una fotografa spagnola la quale, prendendo spunto da un video di Oprah in cui si parlava di ‘vocazione’, ha lanciato un sondaggio chiedendo e chiedendosi  se tutti hanno una ‘vocazione’ -  intesa come qualcosa che ti appassiona e che faresti anche gratuitamente; qualcosa a cui vuoi dedicarti sempre sia per lavoro che nel tempo libero - o se è qualcosa che succede solo a qualcuno come a lei ad esempio.

Tra ‘tutti’ e ‘qualcuno’ ha vinto ‘qualcuno’.

Ecco, io se non avessi letto il libro di Bettina non avrei avuto chiaro cosa risponderle e invece ho risposto che non per tutti è così evidente come per lei qual è il proprio ikigai ma questo non vuol dire che non ci si domandi qual è la propria vocazione e che si voglia avere una vocazione.

Lei ha trovato nella fotografia la sua vocazione che nel metodo ikigai giapponese corrisponde all’incrocio tra ciò per cui vengo remunerata e ciò di cui il mondo ha bisogno ed è andata oltre perché la fotografia è ciò che le piace fare e per  cui ha talento.

Per altri invece è un lavoro trovare la propria vocazione o meglio, magari si trova ma non è detto che si riesca a farlo diventare una professione. Oppure si ha passione per qualcosa ma non talento. In tutti i casi il metodo giapponese suggerisce di dedicarsi al ‘come’ combinare al meglio passione e missione con professione e vocazione.

Vi porto me stessa come esempio.

Io da piccola volevo fare l’insegnante e se fossi rimasta in Venezuela sicuramente avrei seguito quella strada. Era ciò che mi piaceva, tanto che era il mio gioco preferito. Avevo talento? Non lo so, nel gioco i bambini erano invisibili quindi non ci sono testimoni :-) . A parte gli scherzi, non ho avuto modo di scoprirlo perché quando ci siamo trasferiti in Italia la tristezza era tale e tanta per il distacco forzato dal mio mondo che non ho più pensato a ciò che mi sarebbe piaciuto fare da grande. Pensavo solo a ciò che poteva rendermi indipendente il prima possibile. L’insegnamento era qualcosa per cui mi avrebbero pagato? Certo. Il mondo ne aveva bisogno? Sicuramente. Ne ha ancora bisogno di insegnanti, di bravi insegnanti.

A questa ‘certezza’ che ora so chiamarsi ikigai, quella cioè dell’insegnamento, non ne sono seguite altre e non le ho neanche cercate. Insomma, il lungo periodo di tempo fino all’età adulta non l’ho dedicato alla scoperta del mio ikigai come possibilità di lavoro ma ho fatto il lavoro che mi è capitato e al quale mi sono poi anche appassionata ma che non è il mio ikigai e l’ho scoperto grazie a questo libro.

Al di là della bellezza del libro come oggetto di cartoleria gli esercizi che propone Bettina per scoprire il proprio ikigai vanno in profondità ma sono posti con leggerezza. Ci tengo a farlo notare perché leggendo questo libro ho collegato a questo metodo altri libri che mi è capitato di leggere in questo periodo e che però mi hanno trasmesso un po’ di pesantezza per cui non mi sono applicata fino in fondo. Mi facevano quasi credere di non avere nessun talento.

Con Bettina invece sono arrivata fino in fondo con entusiasmo.

Sapete qual è il mio ikigai? La scrittura!

Per me è stata una scoperta incredibile, davvero. E pian piano che, facendo gli esercizi, mi rendevo conto che sarei andata a parare lì, sorridevo tra me e me. Come mai? Perché io ho iniziato a scrivere questo blog non perché mi piaceva scrivere, anzi non mi sentivo assolutamente in grado di farlo; ma quasi come una forma di autoterapia. Stavo vivendo un momento di transizione - diciamo così - nel 2011 e avevo bisogno di autoconvincere me stessa che le mie giornate, la mia vita avevano un valore. Dovevo solo aguzzare la vista. E’ così che è nato il sottotitolo del blog.

Sono stata catapultata nella scuola italiana direttamente in prima Liceo per cui le basi che si costruiscono nelle elementari e nelle medie mi mancano e so di fare errori di ortografia e di sintassi. Quando me ne accorgo nel senso che mi sorge il dubbio bene, vado su Google e rimedio; quando non me ne accorgo non me ne faccio un cruccio eccessivo perché non è la ‘bella scrittura’ lo scopo del blog, almeno fino ad ora non lo avevo collegato a questo. Lo scopo del blog è condividere le cose belle che la vita mi propone e quindi magari sono più attenta alla giusta consequenzialità, coerenza di quello che racconto, parole che uso che non alla forma.

Andando poi a ritroso mi sono tornate in mente le numerose e-mail che ho scritto a qualcuno. Erano delle autoanalisi lucidissime, troppo lucide forse; ma ricordo la preoccupazione di non lasciar niente di non analizzato e di trovare le parole giuste perché potevo sbagliare l’ortografia ma non il vocabolo per descrivere esattamente quello che stavo vivendo in modo da trasmetterlo nella sua autenticità a chi mi leggeva.

Ancora prima mi sono ricordata di aver scritto una autobiografia in una notte. Ero arrivata a 160 pagine. La scrissi in un momento bello della mia vita, di quelli in cui ti sembra di essere arrivato all’apice di un’esperienza così significativa da ritenerla il motivo per cui sei nato. Pensavo potesse essere di ispirazione a qualcuno. Cancellai tutto il giorno dopo.

Ancora prima avevo scritto una tesina compilativa su un Oratorio di Siena che auto pubblicai vendendo anche una copia. Ora non la trovate più perché l’ho ritirata dalla vendita.

E poi la ‘chicca’ è stata ricordare di quando poco prima di trasferirci in Italia scrissi una poesia e prima ancora una favola e quando avevo intenzione di scrivere una specie di compendio di tutte le materie che avevo studiato fino alle medie. Avevo preparato delle cartelline e l’idea era di rileggere i libri di testo e appunti di ogni anno scolastico superato per inserirci tutto lo scibile...

Bellissimo. Me lo dico da sola.

Ho scoperto quindi che scrivere è qualcosa che mi è sempre piaciuto fare, che scrivere è qualcosa che -  a quanto pare - so fare nel senso che, anche da ciò che mi dicono altri, l’immediatezza, l’entusiasmo che trasmetto soprattutto quando parlo di Siena in un certo senso hanno dato forma ad un mio stile tipo flusso di coscienza colloquiale (definizione provvisoria ma calzante). E allora ho deciso che una maggiore attenzione all’ortografia, per i puristi, lo farò diventare una abitudine felice.

Ho scoperto anche, è evidente, che il mio ikigai non coincide con la mia professione che, detta in soldoni, è quella di vendere camere. E allora cerco comunque di praticarla quando invio i preventivi o arrivano richieste di informazioni.

E’ qualcosa di cui il mondo ha bisogno? Be, il mondo ha sicuramente bisogno di cose belle, sempre, e la scrittura è un modo per farle conoscere.

Il mondo a cui è attualmente destinata la mia scrittura siete voi che mi leggete. I post che vengono maggiormente letti sono quelli che riguardano Siena, al momento, per cui... sappiate che mi è venuta un’idea!

Non anticipo niente. Vi dico solo che sono già al lavoro e mi entusiasma molto la cosa per cui sì, il mio ikigai è la scrittura per raccontare cose belle.

lunedì 13 novembre 2017

Iconografia: Bagno di Cristo e Salita sulla Croce

Siena: Il Saloncino, un tè all'Opera; ciclo di conferenze sull'arte

Grazie alla conferenza di Raffaele Argenziano tenuta ieri al Museo dell'OPA di Siena per il ciclo Il Saloncino, un tè all'Opera sulla ricostruzione di una tavola di Guido da Siena che pone le basi di un precedente alla Maestà di Duccio di Buoninsegna ho accresciuto la mia conoscenza iconografica sulla vita di Maria e Cristo.

La ricostruzione cui ho accennato di Argenziano verrà pubblicata su una rivista entro Gennaio 2018. Qui invece voglio condividere con voi le due cose nuove che ho appreso dal punto di vista iconografico.

Una diciamo che l’ho avuta sempre sotto agli occhi ma non l’ho mai approfondita. Si tratta della scena del Bagno di Cristo che - quando è presente - compare nella stessa scena della Natività come questa di Guido da Siena che fa parte dei quindici pezzi che formavano un unicum e che è stato oggetto della ricerca di Argenziano.

Guido Da Siena: Natività (1275-1280) al Louvre

La scena della Natività è descritta in maniera molto sintetica nei Vangeli di Matteo e di Luca e forse per questo è stata arricchita di dettagli successivamente.

Dal Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte di James Hall per Longanesi & C.,  ddizione 1983:
Gli artisti bizantini rappresentavano una vera e propria scena di parto, con la Vergine distesa su di un letto e due levatrici che l’assistevano, una di esse intenta a lavare il Bambino. L’apocrifo Libro di Giacomo narra che una delle levatrici, Maria Salomè, non credette che Maria avesse potuto partorire pur rimanendo vergine e volle esaminarla di persona; non appena toccò Maria il suo braccio si inaridì e ritornò normale solo quand’ella prese in braccio il Bambino. Questo soggetto, trattato anche nell’iconografia occidentale, fu soppresso dopo la sua condanna da parte del Concilio di Trento, attorno alla metà del XVI secolo.

Ecco, questa storia delle levatrici non la conoscevo affatto.

L’altra cosa nuova l’ho vista per la prima volta ieri. Si tratta della Salita di Cristo sulla Croce. Altra scena di quindici della tavola di Guido da Siena oggetto di studio da parte di Raffaele Argenziano.

Guido da Siena: Salita sulla Croce (1270-1280) a Utrecht

Anche, sulla modalità della Crocifissione di Gesù i Vangeli dicono poco e quindi ci hanno pensato altri ad arricchirlo di dettagli come i testi devozionali francescani composti durante il XIII secolo.

Pare che le rappresentazioni di questa scena della Salita sulla Croce siano molto rare.

In provincia di Siena però ne abbiamo una e sarà motivo di una prossima mia gita.

Dove? A San Gimignano.

Questa informazione l’ho trovata nella pubblicazione a cura del Monte dei Paschi di Siena Iconografia evangelica a Siena dalle origini al Concilio di Trento nel capitolo dedicato agli Eventi della Passione a cura di Alessandra Gianni.

Si tratta di una delle scenette della Croce dipinta di Coppo di Marcovaldo che si trova per l’appunto nel Museo Civico di San Gimignano. 

Cliccate sopra l'immagine per ingrandirla e guardate la prima scena in basso a sinistra.

Coppo di Marcovaldo: croce dipinta a San Gimignano

Alessandra Gianni fa inoltre notare il diverso atteggiamento del Cristo nella stessa scena della Salita sulla Croce rappresentata da Guido da Siena e da Coppo di Marcovaldo.

In quella di Coppo di Marcovaldo
Gesù, con la testa abbassata e le spalle ricurve, viene mostrato nella sua umana riluttanza a salire sulla croce, dove viene quasi spinto dalla folla.

Mentre in quella di Guido da Siena
Cristo sale con decisione sulla scala mostrando la volontà di sottoporsi al martirio per la redenzione degli uomini.

lunedì 6 novembre 2017

New York in 7 giorni: Epilogo e Top Ten Emotiva

New York

Ebbene, dopo avervi raccontato giorno per giorno del mio viaggio a New York, un mio sogno nel cassetto realizzato, in questo post voglio tirare un po' le somme rispetto alla check list iniziale  aggiungendo qualche tip e rivelandovi la mia Top Ten Emotiva.

Il volo con Alitalia si è rivelato sicuro ma non comodo (viaggiavamo in Economy) per cui la prossima volta per un viaggio così lungo nel budget aggiungerò il supplemento per la business class.

Il servizio di navetta da e per l’aeroporto JFK prenotato con Go Air Link Shuttle è stato ottimo e conveniente. Bisogna solo tenere conto che ci può essere un ritardo anche di mezz'ora per via del traffico soprattutto per il giorno in cui si riparte per cui è bene prenotarlo in anticipo. Io l'ho prenotato forse anche troppo in anticipo ma se penso che da Siena l'autobus per Fiumicino è partito con un ora di ritardo perché l'autista credeva di essere di turno il pomeriggio... penso di aver fatto proprio bene!

La metrocard si è rivelata utilissima per raggiungere la zona scelta giorno per giorno. Ricordatevi: uptown per andare verso nord e downtown per andare verso sud. NYC Subway la App da scaricare.

Mancia sì mancia no? Alla cameriera dell'hotel l'ho lasciata ogni giorno. Nei ristoranti all'inizio ho aggiunto la percentuale minima suggerita nello scontrino (18%) poi alla domanda retorica Do you need change? rispondevo di no avendo già arrotondato a modo mio per la mancia. Il taxi non l'ho mai preso.

Prenotare in anticipo Musei, Osservatori e Traghetti si è rivelato prezioso per risparmiare tempo.  La City Pass non sarebbe stata sufficiente per noi  e con le altre opzioni avrei speso più o meno la stessa cifra per cui ho preferito fare da me.

Abbigliamento: sebbene fossimo in teoria in Autumn in New York la temperatura era ancora calda per cui vale sempre la regola di vestirsi a cipolla nelle stagioni di mezzo anche se d'estate si sa che l'aria condizionata la tengono a palla gli americani.  In alcune linee della metro anche in questi giorni era accesa.

Dress code? Forse è rivolto più agli americani. Ero preoccupata quando sono andata a cena da Esca di non essere all'altezza e invece stavo proprio bene. Quasi tutti richiedono il business casual soggetto a varie interpretazioni ;-)

Shopping: New York è cara arrabbiata e al momento il cambio valuta euro/dollaro non migliorava significativamente le cose per cui se pensate di spendere quanto spendereste in Italia allora ok, se pensate di spendere di meno vi dico che non è così. Sono contenta di non essere andata fuori budget per togliermi uno sfizio (mi sarebbe piaciuto comprarmi una borsa, ad esempio) ma ho preferito spendere in 'esperienza culinaria' ;-)

La gente local: ho incontrato più gente del Centro America o Sud America che di New York e si sa che  i latinoamericani sono molto cordiali.

Fuso orario: all’andata, per quanto mi riguarda, è andata abbastanza bene forse perché non siamo ‘animali notturni’ io e mia sorella. Al ritorno ho fatto un po’ fatica a recuperare. Il primo giorno mi sono svegliata alle 13 :-D

Guide: l’ho linkata quasi in tutti i post tanto che potreste pensare che sia una pubblicità sponsorizzata ma è che bisogna dare onore al merito e la guida New York in 7 giorni di Carlo Galici è ottima come base e il suo sito è una fonte inesauribile di informazioni continuamente aggiornate. Confermo anche l’utilità della Guida Mondadori New York e della Guida New York al femminile di Elisa Pasino.

Albergo: sono più che soddisfatta della scelta fatta. Non mi ricordo più nemmeno io come ci sono arrivata o forse sì. Ho fatto delle ricerche sui portali indicando zona e tariffa media di spesa. Dopo aver letto recensioni varie sono andata nel sito ufficiale degli alberghi che potevano interessarmi.

Il Room Mate Grace Hotel ha superato tutte le selezioni ;-)

Potrei definirlo un albergo 'stiloso'. Non ho ben capito cosa significhi questa parola ma secondo me ha a che fare con lo stile di questo albergo di catena spagnola. Arredamento moderno con carattere, pulizia ottima, cura del dettaglio, mini bar ben fornito, ferro e asse da stiro in dotazione, bollitore con tisane varie e un  libretto con la Dichiarazione dei diritti umani.

Una colazione a buffet super con molta varietà di dolci e salati e, cosa importante per i nottambuli, viene servita fino a mezzogiorno.

In albergo c’è anche una piscina e una zona fitness che noi non abbiamo avuto nemmeno il tempo di vedere. Però qualcuno maggiormente sensibile a questi servizi gradirà sicuramente.

Il personale molto gentile anche se noi avevamo già organizzato tutto quindi non abbiamo avuto bisogno di particolare assistenza.

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel


New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

New York: Room Mate Grace Hotel

Sicurezza: a metà degli anni ’80 quando la mia amica-compagna di banco Francesca tornò dal suo primo viaggio a New York era entusiasta di tutto e mi disse che nella Grande Mela si poteva andare in giro tranquilli a qualsiasi ora anche della notte ma che poteva capitare di ritrovarsi all’improvviso in mezzo ad una sparatoria.

Marzia, la signora che abita a New York e che abbiamo conosciuto all’inizio di questo nostro viaggio, ci ha detto che lei ha più paura in altre città americane del ‘proiettile volante’ anche di giorno che non a New York.

Io e mia sorella non abbiamo avuto paura quando eravamo in giro, non ci pensavamo quasi alla sicurezza tranne quando andavamo nei grattacieli o musei dove ci controllavano la borsa. Non abbiamo notato una presenza opprimente di polizia o di militari come invece trovammo in Venezuela, a Caracas ad esempio, quando siamo andate nel 2010.

Dopo due settimane dal nostro ritorno è successo quello che è successo e che sappiamo tutti. Cosa dire? Non ho pensato a niente del tipo ‘meno male che non c’ero’ e nemmeno ‘sarei partita se fosse successo prima del nostro viaggio?’.  Non avrebbe avuto senso.  Avrei alimentato la paura inutilmente.

Scelgo di vivere ciò che accade nel qui e ora.

Ora sì, è arrivato il momento di concludere e voglio farlo lasciandovi  la mia Top Ten emotiva del mio soggiorno a New York:

Museo: The Met
Osservatorio: Empire State
Monumento: Statua della libertà
Parco: Washington Square
Opera pubblica: Ponte di Brooklyn
Grattacielo: Freedom Tower
Quartiere: Greenwich Village
Strada: West Broadway
Istallazione: Double Check
Piatto del giorno: lobster roll

Mi piacerebbe conoscere quella di mia sorella :-)

Avrei cambiato qualcosa?
Al posto del Whitney Museum avrei rifatto il biglietto per andare a The Met Cloisters, i chiostri medievali, perché lo stesso giorno di visita a The Met, in cui il biglietto sarebbe valido, è impensabile.

Qualcosa che volevo fare e non ho fatto?
Mangiare in un rooftop! Marzia ci aveva suggerito il Pod 39, bella vista e non pretenzioso e visto che il suo consiglio per Ellen’s Stardust si è rivelato ottimo, io ve lo giro.

Un rimpianto?
Piccolo ma c'è l'ho: non aver portato dietro i dolcini che avevamo acquistato a Chelsea Market quando siamo andate a Bryant Park l'ultima sera. Peccato! Perché si stava così bene e c'erano tanti tavolini dove sedersi. Magari se capitate da quelle parti, tenetene conto. In compenso però ci siamo trattenute a Times Square per lo spettacolo dei ballerini di strada e ci siamo gasate!

E ora sì, è arrivato The End.

Grazie New York e grazie a chi con affetto ha seguito #thesabasistersinnewyork  su Instagram e anche a voi che so che mi leggete anche se non commentate in pubblico.

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domenica 5 novembre 2017

Settimo giorno a New York: Chelsea e Circle Line

New York: Union Square Market

Ed eccoci arrivati all’ultimo giorno del mio viaggio a New York con la sister.

La giornata è iniziata con un bellissimo imprevisto nel senso che una volta sbucate a Union Square dalla Metropolitana dove era in corso il mercato a chilometro zero all’improvviso ho sentito qualcuno che mi chiamava, che scandiva proprio il mio nome e cognome ‘a-mi-na-sa-ba-ti-ni’. Chi era?  La mia amica Ardith! Incredibile, neanche ci fossimo date appuntamento. Lei aveva appena accompagnato uno dei suoi figli a Scuola lì in zona e, niente, ci siamo risalutate. La cosa per me incredibile è che è successa a New York, una metropoli, e non a Siena.

L’itinerario prevedeva High Line, Crociera con il battello e Chelsea Market. Lei però ci ha suggerito di andare al Whitney Museum e anche mia sorella propendeva in tal senso e visto che avevamo tempo ci siamo andate perché si trova vicino all’inizio della High Line nella sua parte più a sud.

Il Whitney Museum, dopo diverse sedi avute dall’anno della sua fondazione nel 1930, è stato realizzato su progetto di Renzo Piano.  Il Museo, se ho capito bene, espone a rotazione dipinti della propria collezione di opere di autori americani che vanno dal 1900 al 1960. Il motivo per cui si va in questo Museo, in teoria, è per vedere Edward Hopper e in effetti c’erano dei suoi quadri che per la maggior parte avevo già visto. La chicca comunque è stata  New York – Liberty 1918 di Florine Stettheimer. E’ fatto di più materiali ed è interessante per lo skyline di Manhattan a quel tempo visto che lo skyline di New York cambia spesso.

Dal Whitney Museum c’è una bellissima terrazza panoramica che affaccia sul fiume Hudson, sulla città e sulla High Line.

New York: Whitney Museum

New York: Whitney Museum

New York: Whitney Museum

New York: Whitney Museum

New York: Whitney Museum

New York: Whitney Museum

Che cos’è la High Line? È un parco che gli americani hanno creato dal recupero di una stazione ferroviaria degli anni ’30 in disuso dal 1980. E’ un percorso sopraelevato di poco più di due chilometri che da una parte costeggia il fiume Hudson e dall’altra la città. Giardini, panchine, istallazioni e piccoli anfiteatri che affacciano sulla strada (questo mi ha fatto molto sorridere perché la ‘vista sulla strada’ per noi è proprio inconcepibile :-D).

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

New York: High Line

La High Line nella sua parte più a nord sbuca in West 30 street angolo con la 10th Avenue. Da lì a piedi abbiamo raggiunto il molo Pier 83 per fare la crociera con il traghetto (Circle Line Sightseeing) prenotato anche questo in anticipo on line. Abbiamo scelto il percorso più lungo della durata di due ore e mezzo che ci ha permesso di fare un ripasso di quanto avevamo visto durante la settimana e dare un occhiata anche se veloce a ciò che non abbiamo visto perché sappiamo bene che New York non è solo Manhattan. In pratica abbiamo girato Manhattan tutto intorno iniziando dall’East River e terminando dove viene chiamato Hudson river. Particolarmente emozionante è stato per me passare sotto al Ponte di Brooklyn. Sono riuscita anche a fare un piccolo video.


New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

New York: Circle Line

Dopo la crociera con guida parlante solamente in inglese ci siamo dirette a Chelsea Market, un mercato coperto, per la maggior parte di gastronomia, ricavato nel vecchio stabilimento dei biscotti Oreo.

Qui Halloween era già operativo e infatti c’erano delle narrazioni meccanizzate troppo buffe.

Il motivo reale per cui samo andate a Chelsea era per assaggiare il lobster roll, il panino con l’aragosta.

Lo so, forse qualcuno di voi sta pensando quello che pensavo io ‘un PANINO con l’aragosta? Giammai!’ e invece era buonissimo. Il panino era morbido e un po’ riscaldato e l’aragosta squisita. Da lì siamo andati al forno Amy’s bread dove abbiamo acquistato qualche dolcetto. ‘Dolcetto’ si fa per dire perché  a New York le porzioni sono spesso giganti, mi riferisco ai dolci, agli hamburger, al pollo fritto.

Chelsea Market mi è piaciuto tantissimo e sono sicura che se ci fossi andata il primo giorno del viaggio ci sarei voluta ritornare più volte.

New York: Chelsea Market

New York: Chelsea Market

New York: Chelsea Market

New York: Chelsea Market

New York: Chelsea Market

New York: Chelsea Market

Tornando verso l’albergo per lasciare qualche acquisto fatto siamo riuscite per andare a Bryant Park. Era vicinissimo da noi, ci siamo passate davanti spesso ma non ci eravamo ancora mai fermate per bene. E’ indicato nelle guide per cui siamo andate anche se era già sera. E’ una bella piazza che si stava già preparando per il Natale. Infatti stavano finendo di montare le ultime postazioni per il mercatino che so apriva in questi giorni e anche la pista di pattinaggio. C’è una bella fontana e tanti tavolini dove ci si può sedere anche se non si è comprato niente dai banchi. Questa cosa è frequente a New York.

New York: Bryant Park

Da Bryant Park abbiamo poi ripreso il ritorno verso l’Hotel. Prima però ci siamo fermate a Times Square dove finalmente siamo riuscite a vedere i ballerini di strada in azione. Intendevo questo quando ieri vi ho detto che la chicca del nostro ultimo giorno a New York fa parte del nostro immaginario collettivo.

Le sere prima c’erano sempre stati questi ragazzi ma non li avevamo mai beccati mentre si esibivano.

Sono stati fantastici! E ovviamente cercavano di coinvolgere il pubblico per poi chiedere il ‘riscatto’ :-)

E’ così che New York ci ha salutate con la break dance. Ho fatto questo piccolo video.



Questa è stata la mia esperienza a New York.

Come ho detto a qualcuno a voce, mi sono sentita come una trottola lanciata a tutta velocità.

New York mi ha presa, mi ha shakerato per bene, mi ha lasciato un po’ intontina e alla fine mi ha conquistata.

Non fatemi la domanda: ti ci trasferiresti? Perché io mi sento sempre una turista nel mondo, anche a Siena, da quando con la mia famiglia ci siamo trasferite in Italia nel 1980.

Dopo aver visitato un luogo come New York, dove molto probabilmente non mi capiterà di tornare, mi torna in mente questa poesia di Edmond Haracourt che capisco ogni volta di più:
Partire è un po' morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po' di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
E' un dolore sottile e definitivo
come l'ultimo verso di un poema...
Partire è un po' morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po' della nostra anima.
Cosa ho lasciato di me a New York? Be, una cosa la so di certo, un bel ricordo alla figlia della mia amica Ardith che le ha detto che ho una ‘wonderful laugh’. E Ardith mi ha fatto notare come questo sia un bel dettaglio per cui essere ricordato da qualcuno.

P.S. non è finita qui! Domani, lunedì giorno di pubblicazione ‘ordinaria’,farò una check list di come è andata complessivamente il viaggio e vi dirò anche la mia top ten di New York.

Spero di ritrovarvi :-)

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