giovedì 18 maggio 2017

#maggiodeilibri - Quando maggio fa rima con coraggio

Le vite degli altri: film di Henckel von Donnersmarck (fotogramma)

Guest Post a cura di Paola C. Sabatini per la settima edizione di #maggiodeilibri, la campagna nazionale che promuove il benessere della lettura con eventi organizzati in tutto il territorio nel periodo che va dal 23 aprile, Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, al 31 maggio.

Altro filone da sviluppare quest’anno, su indicazione degli organizzatori della settima edizione del #maggiodeilibri, è quello della #legalità, un argomento complesso, spinoso, impegnativo ma non per questo da evitare pensando che non sia avvincente, ma solo educativo, intrattenersi leggendo libri su questo argomento, tanto più se, come me, si sono trascorsi i primi anni dell’età adulta tra i banchi, le aule e i corridoi di una facoltà di Giurisprudenza.

Riflettendo sul tema, mi sono ricordata innanzitutto del brocardo latino «Nullum crimen, nulla poena sine lege» che riassume il principio di legalità, ovvero: nessun reato, nessuna pena, senza legge. Ma cosa succede quando è in nome della legge che vengono commessi crimini inenarrabili? Ho letto un paio di libri recentemente che mi hanno offerto delle parziali risposte a questo interrogativo, una domanda che può sembrare retorica ma non lo è.

Uno ho finito di leggerlo pochi giorni fa. Si tratta di Cera una volta la D.D.R. di Anna Funder, libro di cui avevo già fatto cenno in un post precedente (Quando maggio fa rima con viaggio); l’attinenza alla legalità, in questo caso, è inversamente proporzionale alla puntuale ricostruzione, in forma narrativa, che l’autrice australiana fa di ciò che può accadere - perché è realmente e irrimediabilmente accaduto - quando questo principio viene disatteso, calpestato, manipolato attraverso azioni, programmi e progetti educativi formalmente rispettosi della Legge, finalizzati a preservare però solo una parvenza di legalità dietro cui si nasconde, in verità, una repressione insensata e violenta dei diritti civili, alimentata dalla cultura del sospetto, come quella subita dai cittadini appartenenti a quella che fu la Repubblica Democratica della Germania dell’Est dal 1949 al 1989.

La Funder descrive quella società e quel periodo così: «Ma io sto rimuginando sull’idea della D.D.R. come articolo di fede. Il comunismo, almeno della varietà tedesco orientale, era un sistema di fede chiuso. Era un universo nel vuoto, completo di inferni e paradisi autoprodotti, di castighi e redenzioni fabbricati qui sulla Terra. Molte delle punizioni erano inflitte semplicemente per la mancanza di fede, o anche per la sospetta mancanza di fede. L’infedeltà era calibrata fin nei segni più minuti: l’antenna puntata in modo da ricevere la televisione occidentale, la bandiera rossa non esposta il Primo maggio, qualcuno che racconta una barzelletta spinta su Honecker (n.d.r. Presidente del Consiglio di Stato della D.D.R. dal ‘76 all’89) per pura e semplice igiene mentale»
Sembra perfino incredibile a distanza di quasi trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, che nel rispetto della legalità, nella D.D.R. comuni cittadini venissero rinchiusi, torturati, spiati, intimiditi, privati dei loro affetti senza alcuna spiegazione, come mirabilmente rappresentato dal regista Henckel von Donnersmarck in uno dei film più belli degli ultimi tempi, “Le vite degli altri”, premiato nel 2007 con l’Oscar al miglior film straniero.

Quante volte il povero Cesare Beccaria si sarà rivoltato nella tomba, lui che in quel “libriccino”, scritto e pubblicato in forma anonima a Livorno nel 1764, Dei delitti e delle pene, si batteva già allora per l’abolizione della pena di morte e della tortura, sostenendo che “le leggi, che pur sono o dovrebbon esser patti di uomini liberi, non sono state per lo più che lo strumento delle passioni di alcuni pochi, o nate da una fortuita e passeggera necessità; non già dettate da un freddo esaminatore della natura umana, che in un sol punto concentrasse le azioni di una moltitudine di uomini e le considerasse in questo punto di vita: la massima felicità divisa nel maggior numero”

Già, la massima felicità...
Questo mi porta a citare l’altro libro che ho finito di leggere da poco, che racconta invece quella felicità posticcia e artificiale propugnata da uno dei regimi dittatoriali più feroci che l’Argentina abbia mai avuto, quello di Videla dal ‘76 al 1981, quello dei desaparecidos e delle madri di Plaza de Mayo, quello che con l’adozione di leggi marziali si è fatto beffe dei diritti fondamentali dell’uomo quali la libertà di pensiero e d’opinione, sospendendo sempre nel rigorosissimo rispetto della legge ogni diritto civile esistente. Mi riferisco a Purgatorio di Tomás Eloy Marrtínez, libro in cui l’io narrante è lo stesso autore, al tempo esiliato in Venezuela, che racconta tra finzione e realtà una storia d’amore vissuta proprio in quegli anni di terrore da una certa Emilia, la quale vivrà trent’anni senza sapere più nulla del proprio marito Simón, desaparecido al pari di migliaia di altri uomini e donne argentini, fino a quando non crederà di averlo riconosciuto in un giovane uomo incontrato per caso in un bar americano.

Certo, quando si leggono libri di questo tipo, si rimane sempre colpiti e sgomenti, una certa tristezza mista a impotenza si fa strada e si insinua nel cuore del lettore, ma è proprio questo il punto: anche la finzione narrativa o un saggio che sembra un romanzo possono aiutare a capire cosa NON è la legalità e a rendere in qualche modo omaggio al coraggio di chi quelle storie le ha realmente vissute.

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