Benvenuti o bentornati alla versione Blogger di My day
worth.
Non è ancora tutto pronto da queste parti. Procederò stanza
per stanza post per post per sistemare
tutto ma intanto volevo invitarvi a prendere un caffè in piedi pur di
accogliervi.
Il post di saluto del precedente dominio è stato l’unico
post che non ho fatto migrare qui. Quando l’ho scritto avevo già esportato
tutti i post per cui l’ho ritenuto un segno.
Mi ripeto ma mi fa strapiacere avervi qui.
Inauguro questo ritorno parlandovi di un romanzo che ho
iniziato a leggere prima che la pandemia si abbattesse sul mondo, che ho dovuto
interrompere a seguito del lockdown poiché per motivi di necessità mi trovavo
in un’altra casa dove tra l’altro ho approfittato per rileggere in lingua
originale Cent’anni di Solitudine (letto la prima volta quando ero ragazzina) e
ripreso e terminato quando sono ritornata a casa mia.
Per i posteri: mentre scrivo il lockdown è ancora in corso e
io mi trovo al ventottesimo giorno di isolamento. Posso uscire solo per motivi
di necessità o di salute.
Si tratta di Una vita come tante, il secondo romanzo di
Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, pubblicato in
Italia da Sellerio.
Una vita come tante è una ferita che si rimargina di
continuo senza riuscire a guarire, è la ferita di un trauma che ci accompagna
per più di mille pagine.
Una vita come tante è un romanzo intenso, bellissimo,
difficile da consigliare. A fine lettura si vorrebbe avere qualcuno con cui
parlarne, confrontarsi oppure la possibilità di porre domande all’autrice.
Letta l’ultima pagina ci si sente orfani.
Una vita come tante è un romanzo da leggere con cuore e
mente aperta.
C’è dolore fisico, tanto dolore fisico in questo romanzo.
L’autrice scava a piene mani nel dolore fisico.
C’è abuso, trauma, senso di inadeguatezza, vergogna,
autocommiserazione, rabbia, paura, senso della perdita; ma c’è anche amore,
tantissimo amore, vulnerabilità, gentilezza, premura, lucidità.
Alla base c’è Amicizia con la a maiuscola in Una vita come
tante e questo è ciò che voglio trattenere.
È l’amicizia infatti il collante tra Jude, Willem, JK e
Malcolm. Quattro ragazzi conosciutisi al College, diventati uomini di successo
a New York e sempre presenti, ognuno a modo suo, per colui tra di loro sul
quale la vita si è accanita di più senza apparente possibilità di scampo: Jude,
il protagonista assoluto della storia da un certo punto in poi.
Intorno a loro altri personaggi indimenticabili come Harold,
docente universitario, e Andy, medico chirurgo.
Per chi lo ha letto: il mio personaggio preferito è Willem.
C’è anche tanta sensibilità artistica in Una vita come tante
e una New York tangibile e meravigliosa come non mai.
A tratti può sembrare anche una favola. Solo a tratti però.
In apertura ho detto che Una vita come tante è un romanzo
difficile da consigliare e con questo intendo ad esempio che sono sicura che ci
sono persone che avrebbero potuto ritenerlo non adatto a me e quindi mai me lo
avrebbero consigliato e che ora accoglierebbero con stupore il mio
apprezzamento.
Io mi ci sono imbattuta grazie alla bookblogger Francesca
Crescentini (@tegamini) e soprattutto al commento al suo post di una persona
che ha scritto di aver apprezzato Una vita come tante quanto Viaggio al termine
della notte. Io amo quest’ultimo libro quindi...
Prima del commento galeotto avvertivo una sensazione di
disagio che non riuscivo a spiegarmi. Forse quel parlarne senza spoilerare che
però fa trapelare fatti non digeribili potenzialmente da tutti i lettori.
Come avrei potuto capire allora se facevo parte di quella
categoria oppure no? Eh! Forse è l’Universo che risponde in questi casi.
Voglio comunque azzardare e dire che mi sento di consigliare
Una vita come tante a chi ha apprezzato il film The Danish Girl.
La sensazione di bellezza pur nella profonda sofferenza che
ho provato guardando questo film si avvicina molto a ciò che ho provato
leggendo Una vita come tante.
L’oggetto della tensione narrativa è diverso.
Una vicenda, sulla carta, non di immediata empatia per me
quella del film eppure capace di trasmettermi tanto amore.
Stessa cosa con questo romanzo ambientato in una New York
contemporanea dove i tabù di genere sembrano quasi azzerati; infatti non
costituisce il focus della storia.
Certo, The Danish Girl è tratto da una storia vera e questo
per quanto mi riguarda ha un suo peso specifico. Una vita come tante è frutto
d’invenzione.
Durante la lettura infatti ogni tanto mi è capitato di chiedermi
se fosse credibile quanto avevo appena letto, che si trattasse di fatti o di
reazione ai fatti. Entrambi sembravano così amplificati. Ed è proprio su questo
che viene voglia di confrontarsi.
Ogni lettore che viene raggiunto da Una vita come tante
secondo me può accogliere quanto scritto per metabolizzarlo secondo il proprio
vissuto - anche quando questo sembri agli antipodi dei personaggi - e
addirittura trovare illuminato un pezzetto della propria vita anche doloroso e reagire
con più fiducia di Jude rispetto a chi dice e ci dimostra di volerci bene.
Bentornata su blogger!
RispondiEliminaUna vita come tante è uno di quei libri intorno ai quali ho girato per un po’. Non so se ti capita qualche volta di sbocconcellare pezzi di romanzi in libreria. Lo prendi, lo leggiucchi, certo però che è un bel tomo, certo però che ho tutta quella roba da leggere a casa, vabbè, per ora passo. Magari più in là… Poi mi trovo davanti a recensioni come questa e mi dico che forse… Tanto i libri non scadono.
Ciao Barbara, ben ritrovata!
EliminaArriverà il tuo momento per questo romanzo. La scrittura è molto scorrevole è coinvolgente tanto che ne ho avvertito subito la differenza/mancanza quando ho letto un altro romanzo subito dopo.
(Nella migrazione mi è sfuggito di controllare l'impostazione di gestione dei commenti ahahaha Ecco perchè l'ho pubblico solo oggi)