lunedì 18 luglio 2016

Mi chiamo Lucy Barton


Mi chiamo Lucy Barton

Intervista doppia a the Saba Sisters Readers sul romanzo Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout edito da Einaudi.

Prima però un breve riassunto della trama dalla penna di Paola.

Madre e figlia si ritrovano in ospedale dopo molti anni di volontario allontanamento da parte di quest'ultima. L'occasione è un'appendicite, seguita da strane complicazioni. È Lucy Barton, la figlia, a raccontare quei giorni con indulgenza, riscoprendo attraverso i ricordi legati a quei giorni l'affetto profondo che la legava alla sua famiglia nonostante la miseria, l'indigenza e la povertà patiti durante la sua infanzia.

1. La tua reazione all’incipit "Ci fu un tempo, ormai molti anni fa, in cui dovetti trascorrere quasi nove settimana in ospedale."

PAOLA

Nessuna in particolare.


AMINA
Ho temuto il peggio.


2. Dai un voto alla trama e spiegalo.

PAOLA

6/10
Merita la sufficienza ma ho preferito di gran lunga il sarcasmo e la rabbia repressa di Olive Kitteridge. Questo è, invece, un intreccio tra un libro di memorie, un racconto e un (finto o vero?) romanzo autobiografico; in alcuni punti ho avvertito proprio l’urgenza dell’autrice di scrivere la parola “fine”, senza preoccuparsi più di tanto del lettore


AMINA
7/10
Il divario generazionale tra genitori e figli negli anni Ottanta è stato, secondo me, equivalente a più generazioni messe insieme tanto è stato abissale. Nel romanzo della Strout l'ho ritrovato.


3. Se la trama fosse un quadro, quale sarebbe?

PAOLA

“I mangiatori di patate” di Van Gogh


AMINA
"Campo di grano" di Van Gogh relativamente all'infanzia della protagonista.


4. Lo stile è…

PAOLA

Se lo stile è, come dice Roland Barthes, “la combinazione di forma e contenuto che detta insieme pensiero ed espressione”, direi che la Strout ha avuto bisogno di molte pause interiori mentre scriveva questo libro, altrimenti non saprei spiegarmi tutte quelle pagine che, soprattutto verso la fine, contengono solo pochi pensieri, messi in risalto proprio dagli spazi bianchi delle pagine stesse.
Comunque, dal punto di vista del linguaggio, lo stile è semplice e scorrevole.


AMINA
Scorrevole, semplice, essenziale.


5. Frase da citare

PAOLA

“(…) per me il suono del granturco che cresce e del cuore che si spezza sono tutt’uno
p. 50


AMINA
Siccome io preferisco di gran lunga la città alla campagna, forse perché come la protagonista anch'io da bambina ho vissuto in un posto abbastanza isolato, riporto questo scambio di battute. Da sottolineare che entrambe si trovano in una stanza d'ospedale a New York con vista sul grattacielo Chrysler:

mamma: Sì, ma come si fa a vivere senza cielo?
Lucy: Al posto del cielo abbiamo la gente.


6. Il personaggio più amato e perché?

PAOLA

La madre di Lucy perché, nonostante tutto, l’ho sentita molto materna e protesa verso la figlia, benché non riuscisse neppure a dimostrarle l’amore provato, se non attraverso la sua presenza in quella stanza d’ospedale, raccontandole i pettegolezzi di Amgash, Illinois.


AMINA
La mamma di Lucy, per il suo 'modo imperfetto' di amare la figlia.


7. Il personaggio meno amato e perché?

PAOLA

Nessuno in realtà, anche perché, tralasciando madre e figlia, molti personaggi sono appena accennati.


AMINA
Il marito di Lucy; forse perché è rimasto un po' ai margini rispetto alle due protagoniste principali e quindi di lui si sa poco.


8. Il finale è…

PAOLA

…luminoso e consolatorio. “La vita mi lascia sempre senza fiato”, frase che chiude il libro, è una frase che penso spesso anche io, soprattutto riguardo alla bellezza e alla complessità della vita.


AMINA
Una specie di 'reset' della propria vita con la consapevolezza che l'esperienza sa regalare.


9. Che ne pensi del titolo? E’ attinente?

PAOLA

Il titolo è inequivocabile ed è spiegato a p. 159. Ogni scrittore racconta in realtà una sola storia, sempre la stessa, e Lucy Barton, che nel romanzo è anche una scrittrice, racconta la sua.


AMINA
Certo, perché si tratta di una autobiografia anche se di invenzione.


10. Hai trovato parole che non conoscevi?

PAOLA

Un’espressione: stare “in arcione” , ovvero, montare in sella nel linguaggio equestre. La Strout la usa in una frase : “aveva Becka in arcione su un fianco” ed io ho proprio immaginato la bimba “in sella” sul fianco del padre.


AMINA
Sì, 'concione'; che vuol dire discorso solenne fatto in pubblico.


11. Ti ha ispirato un libro da leggere dopo questo?

PAOLA

Nessuno in particolare.


AMINA
Se due indizi fanno una prova allora devo proprio leggere La casa nella prateria di Laura Ingalls Wilder. E sì, perché oltre a vedere la serie quando ero piccola, Claudia Porta del blog lacasanellapeateria (chi frequenta Mydayworth ha già sentito parlare di lei)  ha tradotto in italiano il terzo volume dei nove complessivi, quello intitolato proprio La casa nella prateria e che ha ispirato la serie TV degli anni 'Settanta (primo indizio) e perché la Strout lo cita nel romanzo a proposito del fratello (2 indizio) anche se io come Lucy non pensavo potesse piacere ad un adulto.


12. A chi lo consiglieresti?

PAOLA

A chi non conosce la Strout e trova accettabile il prezzo (€ 17,50) per una storia breve, sia pure ben impaginata (!)


AMINA
A coloro a cui piacciono i romanzi che trattano il rapporto tra genitori e figli. Ad esempio a chi è piaciuto Patrimonio di Philip Roth; a me ad esempio moltissimo.


13. C’è una morale secondo te?

PAOLA

Che l’amore è sempre imperfetto e che mai potremo affermare di conoscere veramente bene qualcun altro.


AMINA
Vedo il concetto di equanimità dappertutto ultimamente e anche qui l'ho visto. La protagonista infatti più volte riflette su quanta negatività porti il sentirsi superiori o inferiori agli altri.


14. Su quale supporto lo hai letto?

PAOLA

Credo che si desuma dalla mia risposta alla domanda n. 12…


AMINA
Cartaceo perché in eBook c'è solo la versione in lingua originale :-(


15. Altro da aggiungere?

PAOLA

L’uso, almeno per me, insolito dell’aggettivo “inderogabile” per definire una voce, in questo caso quello della madre di Lucy.


AMINA
Un flashback personale: sono stata anch'io in ospedale per quattro settimane tanti anni fa. Avevo anch'io il telefono fisso sul comodino e anch'io ho visto i primi ricoverati di AIDS. E ricordo mia mamma che era venuta a trovarmi da Pescara. Insomma, un pochino ho empatizzato con Lucy.

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