Film di Daniele Vicari e Domenico Procacci con Claudio Santamaria, Alessandro Roja, Davide Iacopini e tanti altri attori. Un film corale che concentra il suo racconto sulle violenze avvenute nella scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001.
Sarei andata comunque a vedere questo film per ‘amicizia’, diciamo così; ma avevo bisogno di una motivazione in più che mi rassicurasse sulla corrispondenza alla realtà dei fatti narrati.
E’ un mio limite. Non amo i romanzi storici perché avendo io molte lacune in Storia mi indispettisco quando non riesco a distinguere cosa corrisponde alla realtà dei fatti e cosa invece è il frutto della mente del regista.
La motivazione l’ho trovata in questa intervista fatta ad Alessandro Roja in cui si assicura che il film è basato su testimonianze ed atti processuali e che solo qualcosa appartiene alla licenza poetica del regista che non sminuisce comunque la credibilità della storia.
L’abuso gratuito di potere mi ha fatto tornare in mente il romanzo Cecità di José Saramago. Ricordo che arrivata ad un certo punto della lettura ho avuto paura di proseguire perché temevo che non si fosse ancora toccato il fondo della violenza, temevo il peggio del peggio. Ho cercato rassicurazioni tra chi lo aveva già letto e fiduciosa ho continuato.
Il romanzo di Saramago affida la possibilità di salvezza ad un personaggio femminile; il film di Vicari-Procacci l’affida ai legami umani, almeno io l’ho interpretata così; per cui ad esempio il direttore di un giornale sarà la salvezza per un suo corrispondente, un avvocato del social media forum sarà la salvezza per un giornalista francese e una mamma sarà la salvezza per la figlia.
Quello che il film di Vicari no può fare è regalarci un lieto fine relativamente ai fatti violenti accaduti perché, come ha detto Procacci questa sera a Che tempo che fa, non c’è stata ancora una assunzione di responsabilità pubblica da parte della polizia, di ‘quella’ polizia, che solo potrebbe restituire fiducia nelle istituzioni.
Il film di Vicari-Procacci invoca l’universalità del diritto all’integrità del corpo e dello spirito da parte di tutti, istituzione di polizia inclusa. E’ su questo che si concentra il film a prescindere dalle motivazioni politiche degli uni, gli appartenenti al movimento social media forum, e degli altri i black block, i membri del G8; dei buoni o dei cattivi.
Le immagini sono un duro colpo allo stomaco soprattutto perché lo spettatore sa che si tratta di violenze effettivamente avvenute. In contemporanea le immagini raccontano anche lo spaesamento di quei ragazzi che non erano responsabili dei fatti accaduti i giorni precedenti e che si ritrovarono oggetto di quella violenza.
Molti reati sono caduti in prescrizione ma quelli di tortura non si sono potuti nemmeno denunciare perché in Italia non esiste come reato.
E’ un episodio che appartiene al recente passato dell’Italia, che ognuno di noi può ricordare.
Con questo film per la prima volta possiamo vedere quello che è realmente accaduto alla Diaz.
La giustizia è lenta e la prescrizione non implica l’assoluzione del reato, così Procacci giustifica la necessità di raccontare questo episodio ora e non tra venti, trent’anni.
Qualcuno dice che il film può essere pericoloso perché rischia di inculcare sfiducia e odio verso la polizia ma allora, replica Procacci, vuol dire che non si può più raccontare niente.
Un film da vedere.
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