domenica 25 giugno 2017
O lost di Thomas Wolfe
Due parole sul romanzo O lost di Thomas Wolfe nella ristampa di Elliot Edizioni.
Ho maturato la convinzione che i classici della letteratura vanno letti non per recensirli ma per poter in seguito capire se e per quale motivo apprezziamo o meno un autore contemporaneo.
Detto questo, dopo aver impiegato più tempo del solito per portare a termine la lettura di un libro data la mole di pagine (750), ecco qualche impressione su O lost dello scrittore americano Thomas Wolfe. Un romanzo di formazione pubblicato nel 1929.
Come sono arrivata a questo libro?
Grazie ad un film uscito l'anno scorso nelle sale, Genius, che racconta la vita di questo scrittore americano indicibilmente prolisso pubblicato per la prima volta da Maxwell Perkins, il più famoso editore del tempo, e alla recensione che di un suo libro di racconti, Dalla morte al mattino, ha fatto la book blogger Maria Di Biase nel post La distanza è appena una parola secondo Thomas Wolfe. Che poi non si tratta di una raccolta di racconti e Maria nel post lo spiega bene.
Cosa mi aspettavo di trovare nel romanzo O lost?Una scrittura originale capace di travolgermi e qualche intuizione esistenziale interessante.
Se sono state esaudite le mie aspettative?In parte, nel senso che la scrittura di Wolfe è un fiume in piena di erudizione non eccessivamente ostentata. Per questo aspetto, credo che leggere O lost in lingua originale sia una doppia 'esperienza' per tutte le citazioni letterarie di cui è spalmato l'intero romanzo, riportate pedissequamente oppure perfettamente integrate nel contesto.
Per la speculazione filosofica bisogna aspettare le ultime pagine e dopo l'incipit, molto promettente, mi aspettavo di più, sono sincera.
...un sasso, una foglia, una porta nascosta; di un sasso, una foglia, una porta. E di tutti i volti dimenticati.
Nudi e soli siamo venuti in esilio. Nel suo oscuro grembo non conoscemmo il volto di nostra madre, dalla prigione della sua carne siamo giunti all'indescrivibile, indicibile prigione di questa terra.
Chi di noi ha conosciuto il fratello? Chi ha guardato nel cuore del padre? Chi non è rimasto per sempre prigioniero? Chi non è per sempre solo e straniero?
O immane desolazione, persi nei torridi labirinti, tra le stelle lucenti su questo tizzone esausto e spento, persi! Muti cerchiamo la grande lingua dimenticata, la strada perduta per il cielo, un sasso, una foglia, una porta nascosta. Dove? Quando?
Perduto spiriro, pianto dal vento, torna ancora.
Questo è l'incipit...
Quindi ne è valsa la pena oppure no, leggerlo?
Sì, anche solo per il capitolo 37 dove Wolfe racconta l'agonia e la morte di Ben, uno dei cinque fratelli del protagonista Eugene, quello con il quale c'era maggior feeling.
Ho pianto leggendo questo capitolo e nella mia carriera di lettrice è capitato molto di rado.
Sì, ma di cosa parla O lost?
Ecco, stavo per dimenticarmi di raccontarvi la trama.
A grandissime linee O lost racconta di Eugene Gant, l'ultimo nato di una famiglia di Altamont, dalla sua nascita avvenuta nel gennaio 1900 fino al compimento del diciannovesimo anno di età, dopo aver dedicato i capitoli introduttivi ai suoi avi e all'incontro dei suoi genitori.
Il tema principale è quello del sentirsi stranieri anche nella propria famiglia, nella propria terra e destinati ad altro. Lo stesso sentimento l'aveva nutrito nella sua vita Gant Senior e forse è questo il motivo per cui ha grandi aspettative sul figlio più piccolo, Eugene, il figlio più sensibile, l'unico dei figli al quale lui e sua moglie hanno permesso di studiare fino all'università.
Eugene supererà brillantemente l'esame finale di logica in cui mette in connessione Dio, i Concetti e i Fatti.
Prima di allora, una precoce delusione d'amore, momenti drammatici di stenti, episodi di bullismo per via del suo fisico (è alto due metri), del suo marcato individualismo e delle sue mancate abitudini igieniche di base (non si lava e non si cambia i vestiti), una mamma pratica e venale incapace di esternare la sua affettività e cinque fratelli che hanno seguito strade diverse non senza difficoltà.
Ma un sognatore, Eugene Gant, che nelle sue fantasie ha indossato i panni degli eroi di cui ha letto le gesta nei libri che divorava.
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