Il ventinove maggio scorso ho partecipato ad una passeggiata culturale nel Villaggio Manicomiale di San Niccolò di Siena organizzata dal FAI giovani - Siena e guidata da Davide Orsini.
Nonostante la delusione per non aver potuto visitare il padiglione dei 'clamorosi' -non era scritto nel programma ma mi ero illusa lo stesso- la nostra guida è stata così coinvolgente e appassionata nel suo racconto che mi è sembrato di visitarlo lo stesso.
Ecco il mio reportage.
Si chiama villaggio manicomiale poiché è formato da diversi edifici, oggi diremmo diffuso, con valore sanitario e curativo.
L'edificio centrale del manicomio oggi ospita l'Università degli Studi di Siena.
E' nella seconda metà del Settecento che ci si comincia a preoccupare dei malati. Il Granduca decide che queste persone vanno rinchiuse. La cura arriverà nell'Ottocento.
Il 'manicomio' era sinonimo di 'luogo altro'. Colui che si occupava dei matti era l'alienista.
A Venezia ad esempio il manicomio venne costruito in un'isola lontana. A Siena cosa si fa? Si sceglie il luogo più 'altro'.
L'edificio centrale del manicomio di Siena è stato un convento di clausura. Nel 1814-1815 questo convento si libera per via del Granducato prima e di Napoleone poi. L'edificio viene quindi svuotato e viene scelto proprio perché ex convento di clausura, quindi ben isolato e ben predisposto.
Il 6 dicembre 1818 apre il manicomio a Siena.
Prima di tale data c'era una piccola casa per il ricovero dei matti fuori porta San Marco. Poi un editto del Granducato spostò tutto a Firenze, a San Bonifacio; solo che divenne troppo affollato quindi con un altro decreto il Granducato dispose che ognuno si riprendesse i suoi matti. A Siena vennero portati in via di Fontanella e finalmente al San Niccolò.
Le finestre erano sbarrate ma rimaneva il problema di chiudere il manicomio dalla parte che dava verso la città. Da un lato c'erano le mura, dall'altro la vallata; l'unico problema era quello di Porta Romana. Venne allora presa la cancellata e portata qui. La cancellata verrà sostituita quando il manicomio si estenderà oltre Porta Romana.
La storia della reclusione dei matti a Siena va dal 1818 al 1858.
In realtà bisogna fare un distinguo. Nel 1819 il San Niccolò non è ospedale ma ricovero per tignosi, coloro cioè che avevano malattie della pelle quindi non matti - ma c'era comunque il desiderio di allontanarli -, per gravide occulte, cioè le donne rese madri da 'illeciti amori' cosa già assurda di per se per noi oggi ma aggravata dal fatto che i bambini che nascevano al San Niccolò ci rimanevano - era senz'altro meglio la sacra ruota degli esposti del Santa Maria della Scala - e per dementi, forse gli unici che avrebbero dovuto tenere qui dentro.
Si trattava di tre categorie che la società del tempo non voleva.
Queste persone convivono per quarant'anni in questo ex-monastero. Si alternano tre direttori: un farmacista, un medico e l'altro non si sa. Uomini di scienza ma che non avevano alcun interesse nel manicomio. Erano uomini che lavoravano al Santa Maria della Scala, nella spezieria, ai quali era stato proposto di dirigere questo posto senza mai venirci di persona.
La svolta ci fu nel 1858. In Europa il sapere sulle malattie mentali era molto avanzato. Carlo Livi diventa direttore. E' giovane, ha girato l'Europa e ha voglia di fare. Ecco cosa dice quando entra al San Niccolò: "Entrando trovai una sorta di alveare fatto di corridoi bui e sporchi sui quali si aprivano delle celle e i malati erano lì ammontinati."
Questa è la realtà che trova che per l'epoca moderna non è accettabile e allora pone mano al rifacimento del manicomio.
È lui che decide per il villaggio manicomiale; la maggior parte dei manicomi infatti sono fatti a raggiera per garantire la sorveglianza costante. Qui gli edifici sono posizionati in varie zone della Collina dei Servi.
Chiama Francesco Azzurri, architetto romano che ha già costruito ospedali e manicomi per l'Italia.
Livi gli dà delle direttive precise:
- distinzione tra sessi,
- distinzione per malattie: le donne e i bambini intanto li manda via; predispone una zona per i tignosi e un'altra per i matti.
- una stanza per il medico che dovrà stare notte e giorno al San Niccolò. Prima dell'arrivo di Livi in caso di necessità un servo del San Niccolò partiva e andava al Santa Maria della Scala a chiamare il medico che veniva appena si rendeva disponibile.
Fa una scelta importante. Prima però una premessa per contestualizzare il momento storico: le più moderne teorie di psichiatria del momento (la farmacologia non esisteva ancora, compare nel 'Novecento inoltrato) prevedono come cura decotti, purganti, salassi che però non fanno niente, magari peggiorano la situazione.
Livi invece cosa fa? tenta di recuperare i recuperabili attraverso il lavoro. Sorgono quindi le officine ancora oggi riconoscibili da un'insegna esterna. Sorge la colonia agricola sbancando la Collina dei Servi e creando i terrazzamenti da coltivare. Lo fanno i malati insieme agli operai del San Niccolò.
Avviene che si tenta di portare il malato ad una vita normale vivendo in una struttura comunque chiusa. Ci si alza, ci si veste, si fa colazione e, attraverso un ponte di collegamento coperto (oggi chiuso), si va al lavoro. Si torna. Si mangia. Si fa pausa. Si ritorna al lavoro.
Si tenta di dare una vita quotidiana normale scandita dal lavoro. Si cerca di fargli fare quello che il malato faceva prima di venire nel manicomio quindi il fabbro, il sarto, il vetraio, il verniciaio, il falegname fino a far diventare il San Niccolò una struttura autosufficiente come lo era da secoli il Santa Maria della Scala. Addirittura il San Niccolò comincia ad introitare denaro quando si accorgono che sono in grado di fare stivaletti in morbidissima pelle che le signore di Siena fanno a gara per avere.
Verso la metà dell'Ottocento si presenta un problema grosso: Siena è costretta a ricoverare anche i matti di Arezzo, Grosseto e tutto l'alto Lazio e il viterbese. Si arriva a più di 2500 matti tra le due guerre. Un numero così alto di malati era possibile tenerli qui dentro solo grazie ai psicofarmaci che li facevano dormire anche perché per ogni cinquecento malati c'era solo un infermiere psichiatrico.
Immaginatevi la situazione: il cancello era chiuso dall'esterno e l'infermiere psichiatrico rimaneva all'interno insieme ai malati per controllarli. Doveva controllare anche se erano vivi. Non aveva però le chiavi per uscire perché i malati avrebbero potuto impossessarsene. Ma poteva capitare anche che l'infermiere fosse aggredito dai malati, cosa che capitò.
Francesco Azzurri tra il 1870-1890 provvede al rifacimento della parte principale del San Nicolò. Anche la bellezza veniva richiesta. Doveva sembrare una 'villa' che sta tra la campagna e la città con un grande parco; solo che quando si passava di lì era impossibile non capire cosa ci fosse all'interno. Infatti i senesi ricordano ancora le urla che provenivano dall'interno.
Nel piano di sotto del San Niccolò c'era una cisterna. L'acqua era un problema reale; infatti dai bottini l'aqua di Fonte Gaia arrivava e arriva tutt'oggi fino alla Fonte di San Maurizio. Al San Niccolò l'acqua serviva per le cucine e le lavanderie. L'acqua serviva anche per l'idroterapia, l'unica terapia che somigliava a qualcosa di medico dall' Ottocento a inizio del 'Novecento. In cosa consisteva? i matti venivano messi a mollo per tre/cinque ore in acqua tiepida o calda per calmare quelli agitati; in acqua fredda per risvegliare quelli un po' più mosci.
Oltre la cisterna ci sono gli spazi che ospitavano i servizi e proseguendo fino all'uscita ci si ritrova nel retro dove furono inglobate le strutture che c'erano e che via via le monache avevano acquistato.
Ad un certo punto la lavanderia qui non è più sufficiente e vengono costruiti i quartieri Lodoli, Chiariti e altri locali di servizio.
C'è un risvolto ancora più doloroso. Lo stesso Livi dice "per alcuni (matti) non posso fare nulla." Sono incurabili, sono solo da contenere; quindi fa costruire un padiglione per gli agitati (i clamorosi) che verrà chiamato Padiglione Conolly.
Foto presa dalla pagina Facebook FAI giovani Siena
La struttura, usata da un carcere americano e composta da tre semicerchi, è detta Panopticon perché un unico sorvegliante riesce a controllare i malati posti in queste celle a forma trapezoidale che hanno un cancello e una porta in legno che veniva chiusa quando rompevano troppo le scatole. Il giardino non era usato dal malato perché il cancello era sempre chiuso. Il pavimento era di cemento con uno scolo per i liquidi; il letto era di ferro con le gambe murate nel pavimento. Ciascun letto aveva gli strumenti atti a tenere ferme le braccia e le gambe; erano letti di contenzione. Per uno strano destino è intitolato a Conolly, uno studioso americano dell'Ottocento che trascorse la sua vita sostenendo che il malato di mente non deve essere rinchiuso ma curato e messo in mezzo alla gente.
Foto presa da L'Orto de' Pecci nella valle di Porta Giustizia a cura di Costante Vasconetto
Con la prima guerra mondiale la popolazione manicomiale aumenta perché tanti ragazzi preferiscono rinchiudersi qui invece di andare a combattere per l'Italia, per evitare di essere considerati disertori. Molti entrarono a ragione nel manicomio tornati dalla guerra perché segnati nell'anima e nella mente e non guarirono più. Se si leggono le cartelle cliniche ci si rende conto. Le cartelle del 'Ottocento in confronto fanno sorridere.
La legge che impose la chiusura dei manicomi risale al 1978. Il manicomio di Siena chiuse il 30 settembre del 1999.
Piange il cuore vedere il Panopticon crollare a vista d'occhio. Di chi è la proprietà, vi starete domandando? E' stato chiesto anche a Davide Orsini ma la risposta è abbastanza ingarbugliata.
Io vedo le rovine del Panopticon dalla Sala di Yoga della Corte dei Miracoli da dove ho scattato la foto sopra e, non ci crederete, ma un certo struggimento mi assale provando ad immaginare la sofferenza e la storia personale di chi ha abitato quelle celle.
Diventerebbe una location bellissima, secondo me, se chi di dovere o potere ristrutturasse questo luogo e gli desse una destinazione socialmente utile conservando la memoria di quello che è stato.
Sarebbe bellissimo.
Agli inizi del secolo scorso vi era anche il reparto dei "bambini scrofolosi" (che diagnosi!).
RispondiEliminaIl Conolly è della USL 7 che lo concesse all'università in comodato d'uso senza che vi sia stato da parte di nessuno (usl e università) alcun intervento reale fino alla situazione attuale (pericolante). Lo vedremo risistemare se ci faranno abitazioni..... (non socialmente utili, non c'è dubbio)
Poi, contro ogni logica, in anni recenti il Chiarugi è stato in parte restaurato per accogliere il reparto di... "salute mentale" (dopo la vendita dell'ospedale Sclavo destinato a civili abitazioni di lusso). Insomma, alla fine i matti son ritornati proprio lì.....
Grazie Mario per le delucidazioni. Sembra incredibile che non ci si renda conto che anche solo dal punto di vista architettonico il Conolly è una struttura da salvaguardare. Abitazioni... ma davvero ci sono tutti questi acquirenti che non riescono a trovare dimora nelle abitazioni che ci sono già a Siena? Il dubbio mi rimane.
RispondiEliminaInformatevi meglio, la destinazione del Conolly è socio-culturale, MAI nessuno ha mai ipotizzato la sua destinazione abitativa.
RispondiEliminaBeatrice, questo è quanto il Sindaco Bruno Valentini ha risposto in proposito sul suo profilo Facebook che è pubblico ed è per questo che riporto le sue parole anche qui: "La ASL di Siena ha elaborato un progetto di recupero della suggestiva struttura che si vede nella foto, che ha anche un forte respiro storico e culturale. Il progetto si inserisce in un piano più ampio relativo all'intero complesso ex San Niccolo', che prevede anche il recupero abitativo di una parte. Il piano è ancora in fase di elaborazione da parte di ASL e Regione Toscana e la parte più complessa è quella del coinvolgimento dei privati. Il Comune ha già valutato le richieste urbanistiche della ASL, accettando la proposta del centro culturale." Non è specificata 'quale'; ma una parte ad uso abitativa è prevista comunque per cui potrebbe essere anche il Conolly.
RispondiEliminaSecondo le previsioni urbanistiche (pubblicate nel sito del Comune) le abitazioni sono previste nell'area denominata "villaggio". Saluti
RispondiEliminaSalve, ho appena letto il tuo interessantissimo resoconto e mi è venuta una voglia incredibile di visitare questo posto. Sai mica a chi mi potrei rivolgere?? Grazie per l'attenzione e ancora complimenti per il tuo appassionato resoconto!
RispondiEliminaSusy.
Salve Susy, grazie per l'apprezzamento!
RispondiEliminaPer fare il giro che ho fatto io ma in forma privata puoi rivolgerti ad una guida autorizzata di Siena, ad esempio Martina Dei: martina.dei@gmail.com. Altrimenti ti consiglio di tenere d'occhio i programmi delle visite guidate organizzate dalle varie associazioni di Siena e pubblicizzate nel sito http://www.enjoysiena.it
Ho discusso la tesi di laurea nell'aula denominata Conolly 1 nel 2004.
RispondiEliminaEra una struttura estremamente affascinante, che nella drammaticità di ciò che è stata, meritava di essere conservata.
Elisa, il Padiglione Conolly è stato inserito tra i luoghi del cuore del FAI. Per sostenere la candidatura basta un voto. Se ti interessa, ecco il link http://iluoghidelcuore.it/luoghi/87949 Tentar non nuoce. Grazie per aver condiviso qui un tuo ricordo personale.
RispondiEliminaHo bisogno di consultare l'archivio del "manicomio" di Siena.Una zia che non ho mai conosciuto, Matilde,, epilettica,, bellissima, è stata internata in una data precedente la seconda guerra e dall'ospedale non è più uscita. la sua storia è legata a quella di una sua zia, mia prozia, che sentendosi colpevole per averla avuta in braccio il giorno della prima crisi, si è ritirata in un convento di clausura a Istia di castro ( viterbo). Chiedo aiuto per sapere a chi rivolgermi. Ringrazio infinitamente per l'aiuto. roberto caporali.
RispondiEliminaBuonasera Roberto, grazie per aver condiviso qui questo pezzettino di storia familiare.
RispondiEliminaNon so se e in che modo sia possibile consultare l'archivio del 'manicomio'.
Come prima cosa mi viene da suggerirti di scrivere una mail a Davide Orsini, colui che ci ha fatto da guida nella visita che ho raccontato in questo post. Lavora presso l'Università di Siena. La sua mail, trovata su internet, è davide.orsini@unisi.it
Magari lui può esserti di aiuto. Se così non fosse, fammi risapere e vedo di chiedere ad altre persone.
Il responsabile dell'archivio è il dott. Alberto Gazzarri della Azienda USL Toscana sud est
RispondiEliminaTel. 0577536071
E-mail alberto.gazzarri@uslsudest.toscana.it
Oppure direttamente archiviostorico@uslsudest.toscana.it
RispondiEliminaMia madre Dott ssa Rosa Palieri Torriglia è stata ricoverata in questo luogo dal 1940 al 1983 data di morte.
RispondiEliminaVorrei avere i la sua cartella clinica prima di morire ho 73 anni è molto problemi di salute
Grazie a chi mi risponderà.
Buonasera Grazia,
RispondiEliminaprovi ad inoltrare la sua richiesta al responsabile dell’archivio, il dott. Alberto Gazzarri della Azienda USL Toscana sud est
Tel. 0577536071
E-mail alberto.gazzarri@uslsudest.toscana.it
Oppure direttente a: archiviostorico@uslsudest.toscana.it
Le auguro di cuore di trovare ciò che cerca.