martedì 7 aprile 2020

Una vita come tante di Hanya Yanagihara


Una vita come tante di Hanya Yanagihara

Benvenuti o bentornati alla versione Blogger di My day worth.

Non è ancora tutto pronto da queste parti. Procederò stanza per stanza post per post  per sistemare tutto ma intanto volevo invitarvi a prendere un caffè in piedi pur di accogliervi.

Il post di saluto del precedente dominio è stato l’unico post che non ho fatto migrare qui. Quando l’ho scritto avevo già esportato tutti i post per cui l’ho ritenuto un segno.

Mi ripeto ma mi fa strapiacere avervi qui.

Inauguro questo ritorno parlandovi di un romanzo che ho iniziato a leggere prima che la pandemia si abbattesse sul mondo, che ho dovuto interrompere a seguito del lockdown poiché per motivi di necessità mi trovavo in un’altra casa dove tra l’altro ho approfittato per rileggere in lingua originale Cent’anni di Solitudine (letto la prima volta quando ero ragazzina) e ripreso e terminato quando sono ritornata a casa mia.

Per i posteri: mentre scrivo il lockdown è ancora in corso e io mi trovo al ventottesimo giorno di isolamento. Posso uscire solo per motivi di necessità o di salute.

Si tratta di Una vita come tante, il secondo romanzo di Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, pubblicato in Italia da Sellerio.

Una vita come tante è una ferita che si rimargina di continuo senza riuscire a guarire, è la ferita di un trauma che ci accompagna per più di mille pagine.

Una vita come tante è un romanzo intenso, bellissimo, difficile da consigliare. A fine lettura si vorrebbe avere qualcuno con cui parlarne, confrontarsi oppure la possibilità di porre domande all’autrice.

Letta l’ultima pagina ci si sente orfani.

Una vita come tante è un romanzo da leggere con cuore e mente aperta.

C’è dolore fisico, tanto dolore fisico in questo romanzo. L’autrice scava a piene mani nel dolore fisico.

C’è abuso, trauma, senso di inadeguatezza, vergogna, autocommiserazione, rabbia, paura, senso della perdita; ma c’è anche amore, tantissimo amore, vulnerabilità, gentilezza, premura, lucidità.

Alla base c’è Amicizia con la a maiuscola in Una vita come tante e questo è ciò che voglio trattenere.

È l’amicizia infatti il collante tra Jude, Willem, JK e Malcolm. Quattro ragazzi conosciutisi al College, diventati uomini di successo a New York e sempre presenti, ognuno a modo suo, per colui tra di loro sul quale la vita si è accanita di più senza apparente possibilità di scampo: Jude, il protagonista assoluto della storia da un certo punto in poi.

Intorno a loro altri personaggi indimenticabili come Harold, docente universitario, e Andy, medico chirurgo.

Per chi lo ha letto: il mio personaggio preferito è Willem.

C’è anche tanta sensibilità artistica in Una vita come tante e una New York tangibile e meravigliosa come non mai.

A tratti può sembrare anche una favola. Solo a tratti però.

In apertura ho detto che Una vita come tante è un romanzo difficile da consigliare e con questo intendo ad esempio che sono sicura che ci sono persone che avrebbero potuto ritenerlo non adatto a me e quindi mai me lo avrebbero consigliato e che ora accoglierebbero con stupore il mio apprezzamento.

Io mi ci sono imbattuta grazie alla bookblogger Francesca Crescentini (@tegamini) e soprattutto al commento al suo post di una persona che ha scritto di aver apprezzato Una vita come tante quanto Viaggio al termine della notte. Io amo quest’ultimo libro quindi...

Prima del commento galeotto avvertivo una sensazione di disagio che non riuscivo a spiegarmi. Forse quel parlarne senza spoilerare che però fa trapelare fatti non digeribili potenzialmente da tutti i lettori.
 
Come avrei potuto capire allora se facevo parte di quella categoria oppure no? Eh! Forse è l’Universo che risponde in questi casi.

Voglio comunque azzardare e dire che mi sento di consigliare Una vita come tante a chi ha apprezzato il film The Danish Girl.

La sensazione di bellezza pur nella profonda sofferenza che ho provato guardando questo film si avvicina molto a ciò che ho provato leggendo Una vita come tante.

L’oggetto della tensione narrativa è diverso.

Una vicenda, sulla carta, non di immediata empatia per me quella del film eppure capace di trasmettermi tanto amore.

Stessa cosa con questo romanzo ambientato in una New York contemporanea dove i tabù di genere sembrano quasi azzerati; infatti non costituisce il focus della storia.

Certo, The Danish Girl è tratto da una storia vera e questo per quanto mi riguarda ha un suo peso specifico. Una vita come tante è frutto d’invenzione.

Durante la lettura infatti ogni tanto mi è capitato di chiedermi se fosse credibile quanto avevo appena letto, che si trattasse di fatti o di reazione ai fatti. Entrambi sembravano così amplificati. Ed è proprio su questo che viene voglia di confrontarsi.

Ogni lettore che viene raggiunto da Una vita come tante secondo me può accogliere quanto scritto per metabolizzarlo secondo il proprio vissuto - anche quando questo sembri agli antipodi dei personaggi - e addirittura trovare illuminato un pezzetto della propria vita anche doloroso e reagire con più fiducia di Jude rispetto a chi dice e ci dimostra di volerci bene.