lunedì 29 maggio 2017

Le crete senesi di Leonina

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Dei panorami che caratterizzano i dintorni di Siena il mio preferito è quello delle Crete Senesi; più del Chianti, più della Val d’Orcia, più della Montagnola.

Le Crete Senesi mi seducono in ogni stagione dell’anno, in inverno principalmente; ma in questo periodo la loro particolare tavolozza di colori trasmette un'energia che, secondo me, schiude tutti i chakra tanto è immediato il beneficio che se ne ricava ad ogni respiro.

Cosa intendo?

Questo!

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Di preciso questa zona è quella del Castello di Leonina, oggi Hotel, dove ho rischiato di lavorare!

Ogni volta che ci penso mi ci scappa da ridere. 

Anni fa, quando erano in corso i lavori di ristrutturazione del Castello e la sua trasformazione in Hotel, io e la mia amica Simona volevamo entrare in comproprietà con altri due soci…

Le crete senesi dal Castello di Leonina

Non se ne fece di niente ma fu lì che mi innamorai delle Crete Senesi, di queste distese di terreno argilloso senza una casa nel mezzo con i suoi caratteristici calanchi, balze e biancane immersi nel silenzio quasi assoluto. Bellissimo!

Se seguite questo blog saprete già che al Castello di Leonina è stato ambientato una parte del Fantasy Daniel Spoon - La via di mezzo di Gabriele Delfino.

Nelle Crete Senesi di Leonina ci sono tornata quest'anno il giorno di Pasquetta e per la prima volta ho visto anche il Sito Transitorio di Jean –Paul Philippe, una scultura che in realtà è costituita di più parti e non solo dalla 'finestra' che avevo visto spesso in foto, forse anche voi.

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Il Sito Transitorio rappresenta una “dimora senza mura e dalla soglia invisibile. A terra alcune lastre, una sedia per accogliere il passante, un banco, una finestra e per tetto la volta celeste.

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Vista da vicino la 'finestra' ho notato diversi elementi incisi, scavati o aggiunti. Chissà qual è il loro significato.

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Dicono che il momento migliore per ammirare il paesaggio circostante dal punto in cui si trova il Sito Transitorio sia il tramonto; quando la ‘finestra’ regala un effetto particolare. C'è anche una lastra per terra che indica la direzione del tramonto d'estate.

Le crete senesi dal Castello di Leonina: Sito Transitorio

Che dire? Un motivo in più per tornarci!

lunedì 22 maggio 2017

Sovicille delle Meraviglie: pievi romaniche

Sovicille delle Meraviglie: Pieve di Ponte allo Spino

Sovicille delle Meraviglie è il titolo con il quale la Pro Loco di Sovicille promuove il proprio territorio con l’apertura straordinaria di Pievi, Castelli, Chiostri e Ville di cui è puntellato il suo territorio e che solitamente sono chiusi al pubblico.

Se come me amate il romanico senese, che poi è una sintesi di elementi lombardi, francesi e pisani, vi consiglio allora di tenere d’occhio la pagina Facebook della Pro Loco di Sovicille per non perdere l’occasione di ammirare queste ‘meraviglie’ della Montagnola senese.

In questo post vi farò vedere da vicino la Pieve di Ponte allo Spino e la Pieve di Pernina, la prima raggiugibile facilmente in macchina, la seconda anche a piedi seguendo il sentiero 110 dopo aver parcheggiato davanti a Villa Cetinale.


Sovicille delle Meraviglie: Pieve di Pernina

La prima cosa che si nota sono le torri campanarie caratterizzate dalla successione di aperture monofore e bifore intervallate da ricorsi di arcatelle pensili (in quello di Pernina limitato a livello della bifora come evidenziato dalla foto in basso).


Sovicille delle Meraviglie: Torre campanaria della Pieve di Pernina

Nella Pieve di Ponte allo Spino la torre campanaria occupa parte della prima campata della navata destra inserendosi nell’angolo della facciata mentre nella Pieve di Pernina si trova di fronte.


Sovicille delle Meraviglie: Torre campanari della Pieve di Ponte allo Spino

Il materiale da costruzione utilizzato per entrambe le pievi è locale: pietra calcarea cavernosa per la Pieve di Pernina, pietra tufacea per la Pieve di Ponte allo Spino.

La dicromia caratteristica della Pieve di Ponte allo Spino è stata attuata con travertino e pietre arenacee.

Per quanto riguarda l'iconografia entrambe presentano schema basilicale a tre navate, quella di Ponte allo Spino anche a tre absidi.


Sovicille delle Meraviglie: interno Pieve di Pernina

Internamente le pievi presentano pilastri cruciformi (quadrati con quattro semicolonne addossate) e a fascio, capitelli decorati con forme geometriche semplici nella Pieve di Pernina, con forme più complesse nella Pieve di Ponte allo Spino e finestre incassate.

Nella Pieve di Ponte allo Spino una volta a botte occupa l’ultima campata ed è contenuta all’esterno da un tiburio con tetto a due spioventi coronato esternamente da arcatelle iscriventi piccoli rombi e tondi.


Sovicille delle Meraviglie: tiburio della Pieve di Ponte allo Spino

Un frammento di chiostro è presente sul fianco destro della Pieve di Ponte allo Spino. Il pensiero al Chiostro di Torri è immediato tranne che per il rivestimento dicromo che qui manca.

Queste sono solo un paio di 'meraviglie'; giusto un assaggio per farvi venire voglia di vedere anche le altre.

***

Bibliografia:
Romanico Senese di Italo Moretti/Renato Stopani

giovedì 18 maggio 2017

#maggiodeilibri - Quando maggio fa rima con coraggio

Le vite degli altri: film di Henckel von Donnersmarck (fotogramma)

Guest Post a cura di Paola C. Sabatini per la settima edizione di #maggiodeilibri, la campagna nazionale che promuove il benessere della lettura con eventi organizzati in tutto il territorio nel periodo che va dal 23 aprile, Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, al 31 maggio.

Altro filone da sviluppare quest’anno, su indicazione degli organizzatori della settima edizione del #maggiodeilibri, è quello della #legalità, un argomento complesso, spinoso, impegnativo ma non per questo da evitare pensando che non sia avvincente, ma solo educativo, intrattenersi leggendo libri su questo argomento, tanto più se, come me, si sono trascorsi i primi anni dell’età adulta tra i banchi, le aule e i corridoi di una facoltà di Giurisprudenza.

Riflettendo sul tema, mi sono ricordata innanzitutto del brocardo latino «Nullum crimen, nulla poena sine lege» che riassume il principio di legalità, ovvero: nessun reato, nessuna pena, senza legge. Ma cosa succede quando è in nome della legge che vengono commessi crimini inenarrabili? Ho letto un paio di libri recentemente che mi hanno offerto delle parziali risposte a questo interrogativo, una domanda che può sembrare retorica ma non lo è.

Uno ho finito di leggerlo pochi giorni fa. Si tratta di Cera una volta la D.D.R. di Anna Funder, libro di cui avevo già fatto cenno in un post precedente (Quando maggio fa rima con viaggio); l’attinenza alla legalità, in questo caso, è inversamente proporzionale alla puntuale ricostruzione, in forma narrativa, che l’autrice australiana fa di ciò che può accadere - perché è realmente e irrimediabilmente accaduto - quando questo principio viene disatteso, calpestato, manipolato attraverso azioni, programmi e progetti educativi formalmente rispettosi della Legge, finalizzati a preservare però solo una parvenza di legalità dietro cui si nasconde, in verità, una repressione insensata e violenta dei diritti civili, alimentata dalla cultura del sospetto, come quella subita dai cittadini appartenenti a quella che fu la Repubblica Democratica della Germania dell’Est dal 1949 al 1989.

La Funder descrive quella società e quel periodo così: «Ma io sto rimuginando sull’idea della D.D.R. come articolo di fede. Il comunismo, almeno della varietà tedesco orientale, era un sistema di fede chiuso. Era un universo nel vuoto, completo di inferni e paradisi autoprodotti, di castighi e redenzioni fabbricati qui sulla Terra. Molte delle punizioni erano inflitte semplicemente per la mancanza di fede, o anche per la sospetta mancanza di fede. L’infedeltà era calibrata fin nei segni più minuti: l’antenna puntata in modo da ricevere la televisione occidentale, la bandiera rossa non esposta il Primo maggio, qualcuno che racconta una barzelletta spinta su Honecker (n.d.r. Presidente del Consiglio di Stato della D.D.R. dal ‘76 all’89) per pura e semplice igiene mentale»
Sembra perfino incredibile a distanza di quasi trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, che nel rispetto della legalità, nella D.D.R. comuni cittadini venissero rinchiusi, torturati, spiati, intimiditi, privati dei loro affetti senza alcuna spiegazione, come mirabilmente rappresentato dal regista Henckel von Donnersmarck in uno dei film più belli degli ultimi tempi, “Le vite degli altri”, premiato nel 2007 con l’Oscar al miglior film straniero.

Quante volte il povero Cesare Beccaria si sarà rivoltato nella tomba, lui che in quel “libriccino”, scritto e pubblicato in forma anonima a Livorno nel 1764, Dei delitti e delle pene, si batteva già allora per l’abolizione della pena di morte e della tortura, sostenendo che “le leggi, che pur sono o dovrebbon esser patti di uomini liberi, non sono state per lo più che lo strumento delle passioni di alcuni pochi, o nate da una fortuita e passeggera necessità; non già dettate da un freddo esaminatore della natura umana, che in un sol punto concentrasse le azioni di una moltitudine di uomini e le considerasse in questo punto di vita: la massima felicità divisa nel maggior numero”

Già, la massima felicità...
Questo mi porta a citare l’altro libro che ho finito di leggere da poco, che racconta invece quella felicità posticcia e artificiale propugnata da uno dei regimi dittatoriali più feroci che l’Argentina abbia mai avuto, quello di Videla dal ‘76 al 1981, quello dei desaparecidos e delle madri di Plaza de Mayo, quello che con l’adozione di leggi marziali si è fatto beffe dei diritti fondamentali dell’uomo quali la libertà di pensiero e d’opinione, sospendendo sempre nel rigorosissimo rispetto della legge ogni diritto civile esistente. Mi riferisco a Purgatorio di Tomás Eloy Marrtínez, libro in cui l’io narrante è lo stesso autore, al tempo esiliato in Venezuela, che racconta tra finzione e realtà una storia d’amore vissuta proprio in quegli anni di terrore da una certa Emilia, la quale vivrà trent’anni senza sapere più nulla del proprio marito Simón, desaparecido al pari di migliaia di altri uomini e donne argentini, fino a quando non crederà di averlo riconosciuto in un giovane uomo incontrato per caso in un bar americano.

Certo, quando si leggono libri di questo tipo, si rimane sempre colpiti e sgomenti, una certa tristezza mista a impotenza si fa strada e si insinua nel cuore del lettore, ma è proprio questo il punto: anche la finzione narrativa o un saggio che sembra un romanzo possono aiutare a capire cosa NON è la legalità e a rendere in qualche modo omaggio al coraggio di chi quelle storie le ha realmente vissute.

lunedì 15 maggio 2017

Passeggiata nel bosco nella Montagnola senese

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Solo i Dintorni di Siena hanno il potere di farmi venire qualche rammarico per il fatto di non aver preso la patente. 

Raggiungere con i mezzi pubblici alcune zone come le Crete senesi, alcuni castelli nel Chianti e la Montagnola infatti è praticamente impossibile. 

Il massimo dell'ilarità è quando scopro che posso andare in una zona ma non tornare lo stesso giorno oppure posso ma con un tempo di permanenza irrisorio.

E' per questo che quando gli amici motorizzati o mia sorella mi propongono una gita fuori porta, io accetto sempre molto volentieri e ogni volta riscopro il benessere che deriva dal contatto con la natura, io che amo il 'mattone' della città.

Passeggiare nel bosco è una delle cose che mi piace molto fare. 

Quando per esempio  ho lavorato a Levico Terme, per una stagione turistica,  ho impiegato i giorni di riposo per scoprire i dintorni. 

Ricordo ancora la bellissima passeggiata detta la Strada dei Pescatori.

Seguire il sentiero, approfittare delle soste per parlare dei grandi sistemi ma anche dei piccoli sistemi con chi mi accompagna, rimanere in silenzio per ascoltare il rumore di un ruscello, guardare il cielo o un rudere allenta ogni tensione fisica. 

Da soli bisogna essere esperti altrimenti la paura appena inizia a fare buio oppure l'indecisione in un bivio può trasformare la passeggiate in fonte di stress, me ne rendo conto io che amo fare le cose anche da sola.

Di recente ho riprovato queste sensazioni - quelle positive - percorrendo il sentiero n. 402 della Riserva Naturale Alto Merse nella Montagnola senese partendo dal sentiero n.400, quindi  da Brenna fino a quasi Castiglion che Dio Sol Sa, costeggiando la gora (la deviazione artificiale del fiume Merse costruita per portare l'aqua ai mulini della zona) e il fiume Merse fino al Mulino di Ricausa e alle caratteristiche cascatelle.

Ho scritto 'quasi' perché sono sicura che Castiglion che Dio Sol Sa era dietro l'angolo ma, dopo due ore di camminata con soste varie, senza uno stradario che ci desse la certezza che effettivamente eravamo vicini, nell'assenza totale di altri nostri simili -magari autoctoni- che ci rassicurassero e con un occhio all'orologio e l'altro tra gli alberi per capire quanto ancora il sole ci avrebbe accompagnato prima di tramontare, siamo stati saggi e siamo tornati indietro, in questo caso senza alcun rammarico.

Nel bosco mi sento catapultata in un altro spazio tempo. Noto infatti subito la differenza quando poi si rientra in macchina per tornare a casa e quindi ai rumori della quotidianità. 

Pur tuttavia succede che nei giorni seguenti avverto dentro di me una bella sensazione di serenità senza doverla cercare perché è lì con me, ci si è trasferita quasi come per osmosi.

Ho fatto un po' di foto.  Il video finale è dove siamo arrivati, vicino alle cascatelle.

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Montagnola senese: sentiero n. 402 nella Riserva Naturale Alto Merse

Se volete fare anche voi questo itinerario consultate il sito della Pro Loco di Sovicille e - se accettate un consiglio - scordatevi tutto ma non una bottiglietta d'acqua! (semi cit. pubblicità)

lunedì 8 maggio 2017

#maggiodeilibri – La lettura è benessere, confermo.

Isaac Lazarus Israëls (1865-1934): Ragazza che legge sul sofà

Per #maggiodeilibri, come avrete avuto modo di notare se siete registrati a questo blog, ho ospitato i post di mia sorella Paola (Quando maggio fa rima con viaggio, Un omaggio a Jane Austen) che ha aderito all’iniziativa lanciata dalla book blogger Simona Scravaglieri (Letture sconclusionate) di pubblicare un video/post al giorno per celebrare il Maggio dei Libri ma anche per tenere attiva l’attenzione fino a fine maggio sui libri in generale come strumenti culturali.

I filoni proposti quest’anno sono il #benessere, gli #anniversari di scrittori illustri, la #legalità e il #paesaggio.

Siccome la lettura fa parte di quelle esperienze che danno valore alle mie giornate, come recita il sottotitolo di questo blog, ho deciso di partecipare anch’io all’iniziativa con questo post per capire io stessa e condividere con voi in che senso la lettura per me è #benessere.

Un’intuizione recente mi fa credere che anche per trarre beneficio dalla lettura occorre determinazione.
Me lo ha confermato anche Angela Cannucciari nel primo video che ha realizzato per questa staffetta di #maggiodeilibri nel suo canale youtube in cui afferma che per lei ‘non’ leggere un tot di pagine al giorno è indice che qualcosa non va.

Non mi considero una lettrice compulsiva con tutti i ‘crismi’ forse perché in famiglia c’è già mia sorella che lo è (se ricordate, lei di me ha detto che sono la ‘social’ della famiglia ;-); ma sono convinta che proprio la passione per la lettura di mia sorella ha avviato il mio percorso di lettrice.
Non ricordo qual è stato il primo libro che ho letto o il primo libro da leggere che ho scelto io e un po’ mi dispiace.

Letture dell’Infanzia

All’età dell’infanzia risale sicuramente la lettura di Cenerentola dei Fratelli Grimm che - lo capisco ora - suscitava in me molta empatia. A seguire ci fu Piccole donne di Louisa May Alcott, il mio primo romanzo di formazione. In Piccole donne infatti ci sono già tutti i grandi temi della vita: l’amicizia, l’amore, la gelosia, la malattia, la morte e la vita affrontati con i diversi temperamenti delle protagoniste, le giovani sorelle March (Meg, Jo, Beth, e Amy), in un clima familiare accogliente nonostante le difficoltà economiche per via della guerra.

Del periodo dell’infanzia fa parte anche la lettura della saga de La Banda dei Cinque dell’inglese Enid Blyton. Non ho alcuna memoria di come siano arrivati in casa mia questi libri; ma ricordo benissimo quanto avrei desiderato vivere le loro stesse avventure.

Letture dell’adolescenza

Durante le superiori invece ho scoperto i romanzi gialli attraverso la penna di Agatha Christie. Irresistibile la perspicacia di Poirot e Miss Marple per scovare l’assassino di turno, anche quello che si sarebbe creduto il più scaltro.

Alla notte prima dell’esame di maturità risale invece il colpo di fulmine per Luigi Pirandello. Lessi infatti in una notte il dramma teatrale Sei personaggi in cerca d’autore e da quella lettura iniziai ad appassionarmi al tema dell’incomunicabilità tanto che -me ne rendo conto solo ora- non ha mai smesso di interessarmi. In età adulta infatti ho ‘ripreso l’argomento’ leggendo il manuale Le parole sono finestre (oppure muri) di Marshall B. Rosenberg e questa volta per affrontare di petto la mia di incomunicabilità.

Fino ai diciotto anni quindi mi rendo conto che le mie letture sono state davvero casuali.

Letture della giovinezza

Gli anni dell’Università sono stati per me quelli delle grandi domande esistenziali che detta così sembra essere stato un mero esercizio scolastico e invece li ho vissuti in maniera drammatica. Sono stati gli anni in cui ho scoperto i grandi autori, uno tra tutti Dostoevskij. Non esisteva ancora internet per cui i suggerimenti mi arrivavano dai nuovi amici.

Leggendo Il mestiere di vivere di Pavese capii cosa io cercavo nei libri. Dice infatti Pavese ‘Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.

Interrotta l’università e con l’inizio del lavoro le mie letture continuarono questo percorso. Ogni volta che un libro ‘diceva’ quello che io stavo vivendo mi sentivo davvero sollevata, compresa e quindi spronata ad essere fiduciosa anche nei momenti bui perché un modo per uscirne con successo l’avrei sempre trovato come dimostravano i protagonisti delle storie che leggevo.

Arrivò per fortuna la stabilità lavorativa e anche il lavoro che mi piaceva e che quindi volevo fare sempre meglio: la segretaria d’albergo. Mi dedicai quindi alla ricerca e alla lettura di manuali che riguardavano soprattutto il lato relazionale del mio lavoro; ma non solo.

Letture dell’età adulta

Il piacere della lettura dei romanzi tornò ‘per caso’ (me lo prestò mia sorella intuendo che mi sarebbe piaciuto) con David Grossman e il suo Che tu sia per me il coltello. E qui mi riallaccio al perché credo che il piacere della lettura richiede determinazione perché ogni volta che ho ripreso a leggere dopo un periodo di pausa mi sono sempre chiesta: ma perché privarsi di un tale benessere?

Con Grossman ho scoperto che ‘amo le storie d’amore ossessive in letteratura’; l’ho scritto tra virgolette perché fa parte della mia bio nei profili social.

Nel romanzo di Grossman, letto in un momento della mia vita che ricordo moto bene, io mi identificavo in entrambi i protagonisti , Yahir e Miriam, e ad ogni pagina dicevo ‘sì, è proprio così l’amore’ e quasi ringraziavo Grossman che ho avuto anche il piacere di ascoltare dal vivo durante un convegno a Siena in cui mi feci autografare il libro, non mio, che diventò di fatto mio.

Affascinata da uno dei temi del romanzo e cioè quello dell’unicità di ogni essere umano e quindi del suo valore iniziai a leggere tutti gli altri romanzi di David Grossman per scoprire che avevo trovato il mio scrittore preferito, sì. E’ bellissimo avere la risposta alla domanda ‘qual è il tuo scrittore preferito?’.

Da lì a qualche anno con l’avvento di Facebook, di Twitter e dei blog letterari mi si è aperto un mondo. Ho scoperto e amato autori come Roth, Pamuk, Miller, Saramago, McCarthy, Murakami, McEwan, DeLillo, Canetti, Javier Marías, Simenon, Singer, David Foster Wallace, Louis Ferdinand Céline e altri ancora e ho recuperato anche dei ‘must’ come il Diario di Anna Frank e Se questo è un uomo di Primo Levi. Le loro storie e il loro stile personale mi hanno reso una persona migliore.

Letture del presente

E ora, a che punto sono?

Nel punto in cui nei romanzi cerco un linguaggio che abbia carattere, che abbia su di me l’effetto di meraviglia e stupore come lo sono i fuochi d’artificio. So che non è semplice trovare questo nonostante o proprio perché oggi tutti scrivono. In tal senso comunque ho appena iniziato un romanzo, un ‘tomo’. Si tratta di O lost di Thomas Wolfe di cui sono venuta a conoscenza grazie al film biografico Genius e alle recensioni entusiaste di Maria Di Biase, altra book blogger (Scratchbook).

Nel punto in cui per contrasto mi piace molto leggere anche i romanzi d’esordio di persone che conosco di persona ma anche solo virtualmente e con le quali c’è una qualche interazione. Mi piace partecipare al loro sogno. In questo blog mi è già capitato di parlarne. Se volete dare un’occhiata cercate la sottocategoria ‘Esordienti’ sotto ‘#LIBRI’.

Conclusione
Dai miei esordi di lettrice a oggi confermo che la lettura porta benessere e sono certa che sarà così anche quando sarò nell’età della saggezza, così piace chiamarla alla mia insegnante di Yoga, quella età in cui volenti o nolenti siamo di fatto più vicini alla fine che all’inizio della vita.

Come mai sono così fiduciosa?
Perché mia mamma ha scoperto il piacere della lettura a settant'anni e da allora non c’è più Vita in diretta o Pomeriggio 5 che regga il confronto!

giovedì 4 maggio 2017

#maggiodeilibri #scrittori – Un Omaggio a Jane Austen

#maggiodeilibri – Un omaggio a Jane Austen

Guest Post a cura di Paola C. Sabatini per la settima edizione di #maggiodeilibri, la campagna nazionale che promuove il benessere della lettura con eventi organizzati in tutto il territorio nel periodo che va dal 23 aprile, Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, al 31 maggio.

Il #maggiodeilibri quest’anno, accanto al tema principale incentrato sulla lettura come strumento di benessere, si è proposto di sviluppare anche altri filoni, tra cui gli anniversari di scrittori e scrittrici illustri.

Jane Austen è una di questi e quest’anno ricorrono i duecento anni dalla sua morte avvenuta il 18 luglio del 1817.

Lo confesso, sono una janeite tardiva.
Il mio incontro con Jane Austen è fin troppo recente, è accaduto nell’anno di grazia 2009 ed è stato tanto casuale quanto indiretto.
È successo che una sera, mentre cercavo un film in TV per chiudere la giornata in bellezza e poi andarmene a dormire, mi sono imbattuta ne “Il club di Jane Austen”, un film di poche pretese, tratto dall’omonimo libro di K. J. Fowler, che non si può certo definire indimenticabile ma che assolve bene alla sua funzione di intrattenimento serale; il fatto è che per me quel film ha rappresentato l’anta dell’armadio dentro cui Lucy Pevensie decide di nascondersi, mentre gioca a nascondino con i fratelli, nelle memorabili Cronache di Narnia di C. S. Lewis, ed ora racconterò perché.

Tornando al film diretto da Robin Swicord, la trama si sviluppa intorno alla decisione di cinque donne, in parte amiche e in parte no, alle prese con problemi sentimentali di varia natura, che decidono di fondare un club letterario e di dedicare il primo ciclo di letture ai sei romanzi della Austen; ne avrebbero letto uno al mese e poi, a turno, ciascuna avrebbe introdotto il dibattito e il confronto sul romanzo letto, in occasione di un’apposita riunione, bevendo tè e mangiando pasticcini o sandwiches. E siccome i romanzi della Austen sono sei, si unirà al gruppetto uno strano ragazzo, che in vita sua non ha mai letto libri che non siano di fantascienza ma che si è infatuato di una delle fondatrici del club, e che accetterà di misurarsi con i personaggi tutt’altro che fantastici del mondo austeniano.

Dicevo dell’armadio…
Lucy, una volta nascostasi nell’armadio, scoprirà che è molto di più di un semplice guardaroba; si trattava in verità di un portale d’accesso verso una terra incantata, la terra di Narnia.
Io, come Lucy, ho intuito - guardando il film - che quei romanzi per me sarebbero stati qualcosa di più di semplici “romanzetti rosa annacqua cervello” come spesso avevo sentito definirli, sarebbero stati un portale verso un nuovo mondo; e siccome detesto non capire e non seguire una conversazione tra persone (in questo caso, gli attori del film) che parlano di un autore o di un argomento letterario, il giorno dopo, forte di questa mia intuizione, sono corsa in libreria ed ho acquistato il mio primo romanzo di Jane Austen: Orgoglio e pregiudizio, tradotto dall’impareggiabile Fernanda Pivano.
Stranamente, non mi era ancora mai capitato di vedere il film ma di Mr. Darcy avevo già sentito parlare da una prozia che rammentava un superbo sir Laurence Olivier in quel ruolo, nella prima versione cinematografica del libro, quella del 1940.
Ebbene, una volta letto il primo romanzo, mi sono fiondata nuovamente in libreria per acquistare gli altri cinque romanzi della Austen, sopportando lo sguardo di commiserazione del commesso di turno, al quale avrei potuto raccontare una pietosa storia di “folgorazione improvvisa” da parte di una presunta figlia adolescente - che non avevo - e di una madre disposta a tutto e con il dovere di assecondarla, perché “leggere è importante, qualunque cosa si legga, purché si legga!”

Da allora, ho riletto più volte sia Orgoglio e Pregiudizio sia Persuasione. Quest’ultimo rimane il mio romanzo preferito, perché è quello più maturo della Austen ma, soprattutto ( inutile nasconderlo), perché contiene la lettera d’amore più bella che io abbia mai letto, quella scritta dal capitano Wentworth ad Anne, dopo essersi incontrati più volte in società senza quasi rivolgersi la parola dato che otto anni prima lei avevo rotto il loro fidanzamento, una lettera con un post scriptum che occorre citare per commemorare doverosamente la bravura di questa autrice ironica, arguta, intelligente, brillante, capace di rendere serena una giornata triste, di tratteggiare uno stato d’animo o un carattere con poche frasi, di padroneggiare le parole attraverso una tecnica narrativa decisamente innovativa per il suo tempo:

Devo andarmene incerto del mio destino; ma tornerò qui e mi unirò alla vostra compagnia, appena possibile. Una parola, uno sguardo basteranno per decidere se io debba entrare nella casa di vostro padre questa sera, o mai.

Non c’è ammiratrice di Jane Austen che non conosca a memoria queste frasi.
E con lui, me ne vado anch’io, vado a rileggere ancora una volta qualche pagina scritta dalla straordinaria zia Jane.

***
Risorse:
- la foto di copertina è stata presa dal sito della University of Texas Libraries

lunedì 1 maggio 2017

Grande Era Onirica di Marta Zura-Puntaroni

Grande Era Onirica di Marta Zura-Puntaroni

Grande Era Onirica di Marta Zura-Puntaroni per Minimum Fax.

Complice il fatto che ho conosciuto Marta (alias @unasnob) durante i mesi frenetici della candidatura di Siena Capitale Europea della Cultura 2019 (mi rendo conto solo ora che ho saputo, prima di molti, il suo vero nome: Marta) e quindi, come dire? una persona che conosci scrive un libro e che fai non lo leggi? Io di solito sì. Mi piace partecipare all’esordio letterario delle persone che conosco.

Fiduciosa nelle scelte della casa editrice Minimum Fax. Come dimenticare Il Cighiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci, anche quello un romanzo d’esordio?

Certa che avrei letto un libro scritto bene poiché ho seguito per un po’ anche il blog di Marta Diariodiunasnob.

Conclusione: non vedevo l’ora di leggere Grande Era Onirica di Marta Zura-Puntaroni nonostante quel 'romanzo poco educato' riportato dall'editore nella quarta di copertina inteso -ho scoperto grazie ad un tweet- come 'mancanza di empatia con il lettore e di correttezza'.

La 'chicca' di questo post è l'intervista che ho fatto a Marta e che trovate dopo la trama. Se avete letto già il libro, vi piacerà scoprire il lavoro del dietro le quinte; se non lo avete ancora letto vi farà venire voglia di farlo.

Trama di Grande Era Onirica

"Descrivimi la stanza della tua psicoterapeuta."

E’ l’incipit di Grande Era Onirica e, come dire?, se la figura dello psicoterapeuta vi appassiona, questo è il libro che fa per voi. Non c’è ‘transfert’ in questa storia per cui non è ‘la solita storia’.

Grande Era Onirica racconta del ‘disturbo depressivo persistente’ o ‘disturbo borderline con sfumature di bipolarismo ‘ diagnosticato a Marta - la protagonista del romanzo; una ragazza marchigiana benestante che ha frequentato la Facoltà di Lettere all’Università di Siena e che continua a frequentare la Biblioteca di Fieravecchia - dalla psicoterapeuta 'Hippy' e dallo psichiatra 'Junghiano'.

Detto più terra terra, Marta ‘non è abbastanza felice’ poiché il senso di perdita e di morte che sfocia in ansia, sogni incubi e rabbia è costantemente presente nella sua vita.

Forse, o grazie, al fatto che il suo “Disturbo Depressivo” non è “Maggiore” (incapacità assoluta di nutrirsi, di badare a se stessi, di lavorare, di pensare a un futuro che non sia sofferenza) Marta ha la lucidità di rivolgersi in prima persona alla ‘scienza’ per essere curata; alla psicoterapia della parola (“Confessioni”) e dei farmaci (“Comunione”).

Il percorso non sarà tutto in discesa poiché i farmaci hanno i loro tempi di azione e relativi effetti collaterali.

Grande Era Onirica è ambientato nei luoghi frequentati dall’autrice del libro: Siena, Parigi, Le Marche e, anche se gli uomini di Marta sono degli archetipi - infatti troviamo il Primo, il Poeta, l’Altro - si è portati a credere che siano reali anche loro tanto il contorno in cui si muovono sono descritti nella loro realtà. Esilaranti alcuni ‘siparietti’ nella Biblioteca di Lettere. Sono convinta che i lettori senesi apprezzeranno molto.

La Grande Era Onirica è l’insieme delle ere oniriche dell’esistenza ‘non organica’ di Marta scandite da oggetti, stati d’animo, avvenimenti, farmaci.

La scrittura è scorrevole, puntuale, ritmica e il culmine della storia, il point break, almeno quello che a me è sembrato essere tale, arriva senza che il lettore se lo aspetti. Da quel momento la tensione si allenta.

Guarirà Marta?
La risposta la trovate in fondo al libro ma per capirla dovete leggere tutte le pagine precedenti.

Intervista a Marta Zura-Puntaroni

Marta, ho letto il tuo romanzo tutto d’un fiato perché volevo sapere come andava a finire e poi l’ho riletto per cogliere meglio alcuni passaggi. Prima di tutto: complimenti. Dopodiché ecco la prima domanda:

E’ tutto vero, compreso i personaggi oppure c’è qualche episodio o personaggio di fantasia

Quello che ho scritto è un romanzo, quindi un’opera di fiction, di fantasia: ho voluto chiamare la protagonista col nome di Marta perché la parte sulla psicoterapia, la cura farmacologica e in generale il percorso della depressione ha la sua origine nella mia esperienza personale. Ma anche questa esperienza è stata trattata con gli strumenti della letteratura. C’è un momento, nella trilogia del Dio Impossibile di Siti, in cui viene chiesto al Siti-personaggio: “Tu dici che non bisogna essere autobiografici?” e lui risponde: “Anzi, devi esserlo a un punto tale che la vita sparisca.”

Come è avvenuto l’incontro con Minimum Fax? Li conoscevi già, hai scritto il libro e poi glielo hai proposto, loro ti conoscevano dal blog e ti hanno proposto di scriverlo o cosa?

Due anni fa ero a spasso per il Salone del Libro con alcuni amici e ho conosciuto un loro editor. Ignorava chi fossi, però ha letto qualche post più letterario del blog e mi ha chiesto se avessi mai provato a scrivere qualcosa di diverso. Io già da tempo mi sentivo un po’ stretta sul blog, perché appunto volevo raccontare una storia che non fosse strettamente la mia e volevo farlo con il respiro lungo del romanzo. Gli ho mandato quindi un testo che poi sarebbe diventato uno dei primi capitoli di Grande Era Onirica. Insomma con quell'interesse e quel capitolo io mi sono data un obiettivo concreto, fare il libro, ci ho lavorato molto e alla fine le cose sono andate bene.

Credo che il tuo saper scrivere bene e saper raccontare sia un talento come hanno dimostrato i post del tuo blog. Ti chiedo comunque se hai frequentato qualche corso di scrittura in previsione di scrivere un romanzo un giorno e come hai organizzato il materiale che avevi a disposizione. Ho notato che alcuni episodi li avevi già raccontati nel tuo blog ma in maniera diversa quindi di certo il romanzo non è una trasposizione del blog. I testi sono originali; quindi hai dovuto ripensarli, in un certo senso? E come?

Come ti dicevo sopra, ho voluto fare un romanzo, dunque pure certi temi che avevo trattato sul blog sono stati - vorrei dire rielaborati, ma non è così semplice, è ancora di più: sono stati totalmente riscritti. Quello che ho scritto sul blog, anche se magari ha lo stesso contenuto, è completamente diverso per stile e struttura a quello che è Grande Era Onirica.

Per quanto riguarda il corso di scrittura la prendo larga: Stephen King - un autore che per lungo tempo è stato considerato uno scribacchino di genere ma che poi è stato giustamente rivalutato nella sua grandezza - ha pubblicato un libro, On Writing, in cui parla della sua vita e del suo rapporto con la scrittura. King ha un rapporto molto pragmatico con il suo essere scrittore - sono storie note il suo considerare la scrittura un “mestiere”, il suo scrivere quattro ore ogni mattina, eccetera - e in questo libro dice una cosa banale e illuminante insieme: “Se volete diventare scrittori, dovete leggere e scrivere un sacco.”

Ho scritto un sacco sul mio blog, e ho letto un sacco durante i miei cinque anni nella facoltà di Lettere dell’Università di Siena. Le ore che ho passato con i miei professori a leggere e parlare di libri: il poter analizzare criticamente insieme a persone così capaci testi come Moby Dick, o Guerra e Pace, o il Mastro Don Gesualdo - quel “leggere un sacco lì” è stata la mia scuola di scrittura. Naturalmente questo non è un giudizio, ma il semplice racconto di un’esperienza personale: ci sono molte persone che trovano utili i corsi di scrittura, e moltissimi grandi scrittori che ne tengono di ottimi. Io, semplicemente, non ne ho esperienza diretta.

Come è stato il rapporto con l’editore?

Moltissimo telefono e moltissime email. Se fossi stata a Roma probabilmente ci saremmo visti pure di persona spesso. Poi nelle case editrici ci sono varie figure che ti accompagnano in vari punti della “vita” del romanzo. C’è l’editor, con cui abbiamo lavorato “fisicamente” al testo: abbiamo dedicato moltissimo tempo al ritmo della frase e al montaggio dei pezzi. Volevamo fare un racconto che fosse insieme lirico e appassionante, e basta una ripetizione o un aggettivo non musicale a rovinare tutto. Poi c’è il lavoro della redazione, la correzione di bozze, l’impaginazione: le persone che se ne occupano in minimum sono state fantastiche, hanno capito il mio stile e l’hanno fatto loro nell'editing finale. Adesso sono a stretto contatto con l’ufficio stampa per le presentazioni e così via.


Direi che sei stata molto coraggiosa a mettere nero su bianco il tuo percorso della depressione. Qual è il messaggio principale che vorresti arrivasse a chi dei tuoi lettori ha/ha avuto la tua stessa diagnosi?

Guarda, il personaggio protagonista si chiama Marta proprio perché se c’è un “messaggio” è quello che la depressione non è una cosa di cui vergognarsi. Non ci si deve vergognare mai nel chiedere aiuto e nemmeno nell’assumere, ovviamente sotto controllo medico, dei farmaci.


La scienza aiuta e di questo ne sono convinta anch’io. A volte è per pigrizia che non ci rivolgiamo a lei e aspettiamo di toccare il fondo per darci una mossa. E’ vero anche che ci sono persone care intorno che non aspettano altro che una richiesta di aiuto da parte nostra altrimenti non sanno cosa fare e se possono essere di aiuto. Credo che tu abbia voluto trasmettere anche questo messaggio. L’importanza del ‘chiedere’. E’ così? Oppure il tuo romanzo sta già prendendo vita propria e ognuno, quindi anch’io, trova significati che magari non erano nelle tue intenzioni?

Ecco, esattamente quello che dicevo in risposta alla domanda precedente.
E mi fa però molto piacere che tu possa immaginare che il romanzo stia prendendo vita propria e ognuno ci possa trovare significati oltre le mie intenzioni. Sarei molto felice se fosse così. Io ho voluto raccontare una storia, se qualcuno l’apprezza e la usa, ne sono felicissima. Perché ormai Grande Era Onirica è un libro, e ognuno lo fruisce come vuole. Non è più mio, in un certo senso, e va bene così.

Il passato si armonizza”, è una delle intuizioni che mi è piaciuta del tuo romanzo. Potresti aggiungere qualche parola al riguardo?

È una frase che ha colpito molto diverse persone e devo confessare che è una citazione di Stephen King: viene da 22.11.63. Riassumendo molto sommariamente il testo, nel libro il protagonista - Jake - scopre un passaggio spazio-temporale che lo riporta nel ’58. Da lì ha l’idea di impedire l’omicidio di JFK e in un certo senso rendere “migliore” il futuro del mondo. Durante il suo viaggio nel tempo Jake si trova spesso ad affrontare dei piccoli déjà vu - che puntualmente vengono sottolineati con la frase “Il passato si armonizza” - ma questa armonizzazione, che all’inizio sembra positiva, in verità - spoiler! - non fa altro che distruggere il futuro: salvato Kennedy e tornato al “presente” la situazione è post-apocalittica, disgrazie naturali e guerre hanno martoriato l’umanità e la sostanza stessa del tempo sembra star per scomparire. Jake deve quindi “annullare” le sue modifiche per salvare la situazione, e si rende conto che questo “armonizzarsi” del passato non era altro che una specie di avvertimento del cosmo sulle conseguenze delle sue azioni. Alla fine per la protagonista di Grande Era Onirica è un po’ così: ripete gli stessi errori, nonostante percepisca che siano tali.

Hai fatto leggere alla tua famiglia o ai tuoi amici Grande Era Onirica prima della pubblicazione? Se sì, cosa ne hanno detto? Se no, come credi che reagiranno, ora; o come stanno già reagendo?

No. Mi trovo ancora a citare Stephen King - vabbé, sarà il nume tutelare di questa intervista - ma si deve “scrivere a porta chiusa”, senza pressioni o influenze esterne. Addirittura, durante la stesura, ho smesso persino di leggere per evitare qualsiasi tipo di condizionamento. Soltanto quando il libro era già ampiamente strutturato l’ho passato a qualche amico “esperto” per avere qualche consiglio.


Oltre alla psicoterapia e alla psichiatria hai mai pensato di frequentare un corso di meditazione Vipassana, se ne hai sentito parlare? Te lo chiedo perché tu nel libro ti domandi come fa l’uomo a sopravvivere all’abbandono e lo psichiatra, almeno a me è sembrato così, ti dà questa risposta alla fine… “il dolore passa”. La meditazione Vipassana si basa sull’impermanenza ed è per questo che me lo hai rammentato.

Nella vita mi sono interessata in vari momenti a varie “discipline” meditative - l’MT, soprattutto per come ne parla Lynch, la mindfulness, la pratica yogica - ma questa non la conoscevo. Mi informerò, sicuramente.

Immagino che scrivere il libro sia stata come una catarsi. Ti ha permesso di mettere a fuoco come mai l’essere umano è capace di sopravvivere all’abbandono. Un conto è saperlo e un conto è essere persuasi che sia effettivamente così. Quanto lo sei tu da 1 a 100?

Non direi una catarsi. Chiariamo che credo poco alla “scrittura terapeutica”, nel senso: sono sicura che possa funzionare per molti, ma che difficilmente possa funzionare per uno scrittore, ovvero per chi primariamente nella scrittura cerca risultati di tipo estetico e artistico. Diciamo che la consapevolezza o la positività rispetto alla condizione umana è arrivata indipendentemente dalla scrittura, ma sono sicura che il libro trasmetta nella sua totalità questa consapevolezza. Da uno a cento? Diciamo più vicino al cento che all’uno.

Nel tuo romanzo c’è del fatalismo, quel ‘pigro fatalismo’ di cui si scoprirà il senso quando tutto sarà compiuto. Lo credo anch’io ma credo anche nel detto ‘Aiutati che Dio ti aiuta’ e forse anche tu altrimenti non ti saresti comprata un porta pillole così fashion per essere sicura di prendere i farmaci nei giorni giusti. E’ così?

La protagonista dice molte cose nel corso della sua depressione, e tra queste c’è pure quella sul pigro fatalismo. Io non sono così, non voglio dire di essere sempre positiva e propositiva, però ti faccio un solo esempio: col pigro fatalismo da solo il libro non l’avrei finito di certo…

Con le scene di sesso trasgressivo hai voluto trasmettere qualche messaggio particolare? Il romanzo poteva farne a meno oppure no?

Non sono scene fatte per trasgredire o scioccare o chissà che, erano soltanto necessarie, secondo me, per trasmettere al lettore una serie di elementi del libro - della psicologia della protagonista, del suo rapporto con l’Altro, eccetera - che altrimenti sarebbero rimasti molto più vaghi.

Quando ho letto della ‘Cintura d’Orione’ mi sono ricordata benissimo della foto che avevi pubblicato sul tuo blog. Sei sicura che non l’hai fatto perché il ‘43 enne ti ha rifiutato il giorno del suo compleanno’? ;-)

Te lo posso dire perché me lo ricordo benissimo. Avevo finito di scrivere la mia tesi della specialistica e d’un tratto ho sentito l’imminenza dell’età adulta. La maniera migliore per gestire la situazione è sicuramente un atto di ribellione adolescenziale come andare a farsi dei piercing.

Dei farmaci che hai assunto non ne conosco nessuno e lì per lì mi è tornata in mente la famosa ‘nota’ chilometrica di Infinite Jest in cui DFW descrive tutte le possibili droghe esistenti! A parte gli scherzi, hai immaginato un tuo lettore che va dal suo psichiatra chiedendogli esattamente di prendere i farmaci che hai preso tu? Io sì! :-D

Ok, partiamo dicendo che qualsiasi accostamento tra me e DFW o tra Grande Era Onirica e Infinite Jest mi provoca sentimenti contrastanti - dalla gioia per il paragone all’orrore per la blasfemia. Comunque, anche se succedesse quel che dici, fortuna che gli psichiatri son gente per bene e dubito lascerebbero che il loro paziente si facesse deviare da un romanzo.

L’ultima domanda. Marta protagonista e Marta autrice di Grande Era Onirica: siete abbastanza felici, ora?

La Marta protagonista mi pare abbastanza felice, alla fine del libro: o almeno sulla strada per poterlo essere nel futuro.

La Marta autrice di Grande Era Onirica è piuttosto felice, e questo, non mi vergogno a dirlo, dipende anche da Grande Era Onirica.

***

Marta, l'ho già fatto in privato ma ora lo faccio anche in pubblico da qui: grazie mille!