lunedì 27 febbraio 2017

Dentro il restauro: aspettando la mostra di Ambrogio Lorenzetti

Dentro il restauro: aspettando la mostra di Ambrogio Lorenzetti

Nel 2017 Siena renderà omaggio ad Ambrogio Lorenzetti con una mostra di quelle con la ‘M’ maiuscola; queste almeno sono le aspettative e a giudicare dal fermento che già dall’anno scorso c’è in città ci sono buone probabilità che proprio così sarà.

Cosa intendo con il ‘fermento’? intendo la possibilità straordinaria di poter visitare i cantieri aperti in città guidati da uno dei restauratori, Massimo Gavazzi. Roba che non si vorrebbe più scendere dai ponteggi per ammirare vis a vis, ad esempio, gli affreschi del ‘nostro’ nella Basilica di San Francesco a Siena.

L’evento è stato chiamato Dentro il restauro e dal mio entusiasmo avrete capito che apprezzo moltissimo questa iniziativa.

Per ora ho visto gli affreschi provenienti dall’Eremo di Montesiepi al Santa Maria della Scala e gli affreschi della Basilica di San Francesco a Siena, entrambi realizzati per una parte a fresco e per una parte a secco.

Qual è lo scopo di questo post?

Non di riportare dettagliate notizie storiche, iconografiche e pittoriche degli affreschi. Non è il caso sia perché queste informazioni si trovano on line sia perché i restauri, da come ci ha accennato Massimo Gavazzi, stanno portando alla luce nuove informazioni e ovviamente queste informazioni verranno svelate pubblicamente in occasione della Mostra.

Lo scopo del mio post è di condividere con voi i particolari sui quali il restauratore ci ha invitato a soffermare la nostra attenzione; quei particolari che dalla normale collocazione degli affreschi non riusciremmo a vedere perché troppo lontani dai nostri occhi.

Eremo di Montesiepi a San Galgano. Storie della Vergine

Gli affreschi dell’Eremo di Montesiepi che raffigurano una Madonna con bambino e storie di San Galgano sono stati realizzati da Ambrogio Lorenzetti nel 1340.

Il lavoro che i restauratori stanno attuando su questi affreschi prevede tre fasi: studio, pulitura e ritocco.

Le sinopie dell’Annunciazione della Vergine ritrovate al di sotto degli affreschi dell’Eremo di Montesiepi già durante i restauri del 1966 permettono di vedere il dualismo tra l’idea iniziale e ciò che è stato effettivamente realizzato o modificato da altri.

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

Mi sono documentata un po’ cercando online e ho trovato che “Nel Medioevo il disegno veniva eseguito direttamente sull'arriccio(*) usando un tipo di ocra rosso-bruna che, nell'antichità, proveniva da una località vicino a Sinope (sul Mar Nero, in Turchia). Per questo il disegno era chiamato sinopia.” (cit. dalla scheda didattica scritta di Giulia Grassi su http://www.italipes.com/)

La singolarità in questo caso è data dal diverso atteggiamento della Madonna: nella sinopia è stata rappresentata una Madonna spaventata tanto che si aggrappa ad una colonna; nella versione finale, di cui abbiamo solo il volto dipinto, una Madonna devota con le mani incrociate sul petto.

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

Come mai? Può darsi che il committente stesso non volesse vedere una Madonna spaventata davanti a lui. La versione finale non è di Ambrogio Lorenzetti.

Le divergenze sono visibili anche nella sinopia che riguarda l’architettura che allude a Castel Sant’Angelo. Nella sinopia è come se Ambrogio Lorenzetti avesse fatto delle prove in cerca della versione finale.

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

La Madonna con bambino è stata anch’essa oggetto di ripensamento come si evince dalla presenza di ben tre mani. Le vedete? :-)

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

La figura femminile sdraiata in primo piano in basso - che a me ricorda la Pace del Buon Governo - con una pelle di animale sulle spalle e con in mano un ramo di fico, svela la sua identità nel cartiglio che regge nell’altra mano.

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

Fei pecchato perché passione soferse Cristo che questa reina portò nel ventre a nostra redentione. 

Si tratta di Eva.

 Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

San Galgano è facilmente identificabile con la miniatura della spada nella roccia.

Ambrogio Lorenzetti, Eremo di Montesiepi a San Galgano, Storie della Vergine

Basilica di San Francesco a Siena. Storie di francescani

Qui il restauratore, sempre Massimo Gavazzi, non ci ha permesso di fare fotografie; chissà perché. in compenso ci ha fatto ‘toccare’ gli affreschi; sì, avete capito bene, ce li ha fatti toccare.

Ambrogio Lorenzetti: Basilica di San Francesco a Siena. Storie di francescani

Degli affreschi della Basilica di San Francesco, già prima si soffermarsi sulle rappresentazioni, colpisce venire a conoscenza del fatto che questi affreschi provengono dalla sala capitolare del convento adiacente la Basilica, attualmente sede di alcune Facoltà dell’Università di Siena. La sala da che io mi ricordo viene chiamata ‘sala delle colonne’. Vi si discutono le tesi di laurea e in periodo di elezioni è il mio seggio elettorale. Scusate la divagazione ma sono molto legata a questo luogo. L’ho frequentato ogni giorno per alcuni anni di Università.

Non più utilizzata questa sala, gli affreschi erano stati ricoperti di scialbatura e intonaco. Non è la prima volta che sento di una tale assurdità tanto che a volte penso che non è vero che i nostri antenati erano più saggi di noi.

Nell’Ottocento questi affreschi furono riscoperti, staccati a massello e trasportati nella cappella a sinistra dell’altare maggiore della Basilica, dove li vediamo oggi.

Nella sala capitolare c’erano anche due affreschi del fratello maggiore, Pietro Lorenzetti, una Crocifissione e una Resurrezione. La Crocifissione si trova anch’essa a San Francesco (mi è dispiaciuto tantissimo no poterla vedere da vicino ma c’erano dei problemi con i ponteggi), la Resurrezione nel vicino Museo Diocesano.

Di questa operazione non indifferente di segatura e spostamento di affreschi, il contemporaneo Ulisse Forni riporta passo passo il metodo utilizzato nel suo Manuale del Pittore Restauratore del 1866. Questa informazione ovviamente ce l’ha data Massimo Gavazzi.
La versione digitale del manuale è reperibile su Google qui

Vi riporto una parte del riferimento agli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nella Basilica di San Francesco a Siena.

“Innanzi che si conoscesse il distacco delle pitture dal muro si praticava di segare le pareti medesime, e di murarle in località credute più opportune a conservarle.

In Siena furono segate e traslocate varie pitture.

Nel 1854 furono scoperte di sotto al bianco, per opera del Signor Francesco Brogi di Siena quattro grandi storie dipinte da Ambrogio Lorenzetti nell’antico capitolo del convento di San Francesco: la prima rappresenta la Crocifissione, la seconda la Resurrezione, nella terza è figurato quando, quando san Lodovico, che poi fu vescovo di Tolosa, andato a Roma in compagnia del padre suo, Carlo lo Zoppo re di Napoli, riceve da Bonifacio VIII i primi ordini del chiericato. Nella quarta è figurato il Soldano in trono, circondato dai suoi ministri e da molta gente tratta colà a vedere il supplizio da esso comandato di certi poveri fraticelli innocenti, i quali con serena costanza vanno incontro al martirio per la fede di Cristo.
Queste pitture alte e larghe, da metri 5 e 51 centimetri , a metri 4 e 10 centimetri, furono segate e trasportate da Giovanni Vestri, maestro muratore, in due cappelle laterali al maggiore altare della chiesa contigua al detto convento.”

Non sono io che ho sbagliato prima con l’attribuzione, ma il Forni!

Questi affreschi sono stati eseguiti quando Ambrogio era molto giovane. Sono stati infatti realizzati tra il 1320-1325 quando Ambrogio era ventenne.

Cosa ci ha fatto notare il restauratore?

Siena, Basilica San Francesco: San Ludovico che si congeda da Papa Bonifacio VIII dopo la rinuncia alla dignità regale in favore del fratello Roberto d’Angiò, Ambrogio Lorenzetti

Foto credit Web Gallery of Art

San Ludovico che si congeda da Papa Bonifacio VIII dopo la rinuncia alla dignità regale in favore del fratello Roberto d’Angiò

L’umanità nei volti dei personaggi a partire dal padre di Ludovico, re Carlo II, che sembra chiedersi tra se e se ‘ma cosa ti è saltato in mente di farti frate e rinunciare agli onori regali?!’.

Gli stati d’animo delle persone convenute alla cerimonia: nella parte superiore gli ospiti regali, nella parte inferiore gli alti prelati tra cui siede anche il re.

La cura del particolare come ha detto qualcuno dei presenti, supportato dal restauratore, per amore dell’arte perché, quale altro motivo ci sarebbe stato per rappresentare, ad esempio, la tridimensionalità della corona di re Carlo facendo intravedere, nella giusta corrispondenza, dai fori laterali della corona, la parte di capelli e la parte di capelli coperta dalla retina bianca sapendo che nessuno avrebbe potuto notarlo dal basso?

La ‘retina bianca’ sul capo la indossa anche Roberto d’Angiò, la figura quasi centrale che indica se stesso come futuro Re. Riguardo a questa retina bianca Gavazzi ci ha svelato una delle intuizioni a livello tecnico di Ambrogio Lorenzetti e cioè l’uso di colori indipendenti. Cosa vuol dire? che l’osservazione della reazione chimica dei colori, la carbonatazione, gli ha suggerito di usare il Bianco San Giovanni nei tempi giusti per renderlo indipendente dal colore utilizzato per i capelli tanto che se passassimo un panno bagnato sulla retina, il colore bianco scomparirebbe lasciando vedere il colore dei capelli per poi essere di nuovo visibile dopo l’asciugatura. E’ stato a questo punto che Gavazzi ci ha invitato a passare la mano sui ‘capelli’ di Roberto d’Angiò, per verificare anche come non sia percepibile nemmeno al tatto la presenza di due strati.

Un copricapo e un copri collo singolare indossa il personaggio a destra della colonna.

Infine Gavazzi ci ha fatto notare la penultima figura, in fondo agli spettatori, in cui molti visitatori vedono Gesù per la sua fisionomia, nonostante non abbia una aureola come invece ce l’ha Ludovico che, al tempo in cui Ambrogio ha eseguito la scena, era già stato fatto santo. Gavazzi si è fatto una sua idea al riguardo ma non voglio anticiparla. Aspetterò anch’io la Mostra tante volte da qui ad allora ci fossero degli sviluppi.

L’insieme della rappresentazione è esempio di storytelling puro. Sembra quasi che Ambrogio Lorenzetti abbia assistito alla scena e invece non è così.

Siena, Basilica San Francesco: Martirio di francescani, Ambrogio Lorenzetti

Foto credit Web Gallery of Art

Martitio di frati francescani

Qui Ambrogio si è sbizzarrito con dettagli esotici tanto che mi ha fatto venire in mente il Sodoma. Una su tutte? La zampa di gallina con piuma nel copricapo del personaggio a destra del trono, per noi che guardiamo.

Dal punto di vista della prospettiva interessante lo scorcio, che a me fa venire in mente sempre il Mantegna, della testa mozzata in primo piano in basso, al centro della scena. E’ davvero incredibile!

Altro dettaglio del naturalismo di Ambrogio Lorenzetti che ci ha fatto notare Gavazzi è la 'ricrescita' dei frati condannati a morte, segno della loro prigionia.

Cos’altro aggiungere?

Di sicuro guarderò con altri occhi questi affreschi della Basilica di San Francesco quando tornerò a vederli e le impalcature non ci saranno più.

E’ stato un privilegio.

Un grazie immenso a Massimo Gavazzi per la passione con cui ci ha accompagnato in queste visita.

lunedì 20 febbraio 2017

Il gaucho insopportabile di Roberto Bolaño

Il gaucho insopportabile di Roberto Bolaño

Intervista doppia a the Saba Sisters Readers sul libro di racconti intitolato Il gaucho insopportabile di Roberto Bolaño - Adelphi Edizioni.

Dalla quarta di copertina:

Il 30 giugno 2003 Roberto Bolaño, gravemente malato (sarebbe vissuto solo altre due settimane), volle consegnare personalmente al suo editore questo libro, che fu il primo ad apparire dopo la sua morte e rappresenta una sorta di testamento spirituale e letterario. Il lettore scoprirà cinque racconti tra i più belli dello scrittore cileno: la storia dell’avvocato bonaerense che abbandona tutto per andare a vivere nel deserto insieme ai gauchos, i bovari della pampa; quella del topo poliziotto (nipote della famosa cantante Josefine del racconto di Kafka) che si aggira nella rete sterminata di fogne alla ricerca di un feroce assassino; quella dello scrittore argentino che va a Parigi per incontrare un misterioso regista che forse è il suo doppio, e si ritrova a far l’amore con una puttana “come se tutti e due non sapessero fare altro che amarsi” – per citarne solo alcune. Chiudono il volume due conferenze: nella prima Bolaño parta apertamente, e in modo struggente, della malattia e dell’approssimarsi della morte; la seconda è una definitiva resa dei conti, in forma di violento, sarcastico, a tratti irresistibile pamphlet, tra lui e quella “specie di Club Méditerranée” che sono gli scrittori (soprattutto sudamericani) la cui unica dote è la cosiddetta “leggibilità” – ed è al tempo stesso una veemente dichiarazione di amore per la letteratura.

1. La tua reazione all'incipit del primo racconto, JIM “Tanti anni fa avevo un amico che si chiamava Jim e da allora non ho mai più visto un nordamericano così triste.”?
PAOLA
Curiosità...anche se, devo ammetterlo, è rimasta inappagata.
Non credo di aver colto il senso ultimo di questo racconto. In compenso, mi ha colpito molto la frase in cui Jim dice al suo amico di essere un poeta che cerca “lo straordinario per dirlo con parole normalissime”, e poi gli chiede : “Tu credi che esistano parole normalissime?”
Io gli avrei risposto di no, tutto dipende dalla loro combinazione, le stesse parole possono essere pesanti come macigni e lievi come carezze.

AMINA
Ho pensato che non sarebbe stato un racconto ‘allegro’ ma ero curiosa di scoprire da dove gli derivava questa tristezza, all’amico Jim.

2. Dai un voto alla trama del secondo racconto, IL GAUCHO INSOPPORTABILE, e spiegalo.
PAOLA
8/10
Per il coraggio. Bolaño è cileno ma scrive un racconto parodia sull’eroe principe della letteratura argentina, il gaucho. Basti pensare che il poema epico che ha come protagonista Martin Fierro, un gaucho, ha ispirato un’infinità di romanzi, racconti e poesie a tema ‘gaucesco’.

AMINA
8/10
Un irreprensibile avvocato di Buenos Aires, vedovo, anti peronista, benestante, con una serva e una cuoca alle sue dipendenze, risolve la ‘solitudine’ e ‘l’insofferenza’ per la crisi economica argentina trasferendosi nella sua tenuta fatiscente in campagna, nella 'pampa'. Un cambiamento di vita radicale, vissuto con i ritmi lenti della pampa dove il tempo sembra essersi fermato tanto da avere la sensazione di star ‘perdendo la memoria’. Un viaggio di ritorno alle origini, al contatto dell’uomo con la natura -tutto da recuperare in quanto a lui estraneo; infatti presto l’avvocato si accorgerà che non è vero che in campagna ‘da mangiare non sarebbe mancato’ nel senso che anche per coltivare la terra o dare la caccia ai conigli ci vogliono talento e conoscenze. Alla fine però sceglierà definitivamente la campagna come sua dimora per non diventare un ‘giustiziere’, lui avvocato. Il motivo? Un episodio dell’unica volta che rientra a Buenos Aires. Ecco, è l’idea del ‘viaggio’, pur non oltrepassando i confini nazionali, che mi è piaciuta di questo racconto. La libertà di poter scegliere ‘dove’ andare quando una situazione, se ben più comoda e confortevole, non rende più sereni. Il ‘viaggio’, ho scoperto poi in una delle conferenze riportate in fondo al libro, è una delle tre ‘strade’ per trovare il ‘nuovo’ che c’è sempre stato, secondo Bolaño.

3. Se la trama del terzo racconto, IL POLIZIOTTO DEI TOPI, fosse un quadro, quale sarebbe?
PAOLA
Questo racconto mi ha provocato disagio interiore, come i Quarti di Bue di Chamin Soutine.

AMINANessuno! Come si fa a trarre ispirazione da una 'fogna'?! Nemmeno Alfred Mainzer, illustratore e autore di cartoline con animali umanizzati, ci riuscirebbe perché la storia è anche molto cruda.

4. Lo stile è…
PAOLA
Surreale e post moderno, pieno di citazioni indirette di altri autori e di metafore.

AMINA
Sicuramente ‘non leggibile', a differenza di come invece lo è, secondo Bolaño, tanta letteratura spagnola di successo, cioè quella che fa vendere libri perché le storie si ‘capiscono’. I personaggi di Bolaño sono surreali come anche alcune immagini piene di suggestione tipo 'le notti americane buie come il vuoto, un posto senza appigli, un luogo aereo, uno spazio assolutamente aperto, sia sopra che sotto’ a differenza delle 'notti europee buie come bocche di lupo’; oppure la ‘pampa’ paragonata ‘all’eterno’, come un ‘camposanto’ - dice il protagonista de Il gaucho insopportabile per spiegarlo ai gauchos - che è ‘la copia fedele dell’eternità’.

5. Frase da citare del quarto racconto, IL VIAGGIO DI ALVARO ROUSSELOT
PAOLA“… come se tutti e due non sapessero fare altro che amarsi.

AMINAForse per deformazione professionale: "…la stanza del suo albergo e la parola albergo, che in quel momento sembrava incarnare miracolosamente (cioè in modo istantaneo) la libertà e la precarietà."

6. Il personaggio più amato
PAOLARousselot, perché è uno scrittore, ama la letteratura e riuscirà a rendere la sua vita straordinaria partendo da una esistenza decisamente ordinaria.

AMINAPepe el Tira, il topo poliziotto,  per il suo senso di giustizia ma anche il frate che compare come un ‘ombra’ a metà del primo dei ‘Racconti cattolici’, per il carisma che trasmette con la semplicità dei suoi gesti.

7. Il personaggio meno amato
PAOLA
Pepe el Tira, per la sua ottusità.

AMINAIl topo predatore perché ‘i topi non ammazzano i topi’ e secondo me l’allusione agli umani credo ci stia tutta anche se poi invece gli umani ammazzano, e come, gli altri umani. Chissà cosa ne pensa la Sister.

8. Il finale del quinto racconto, DUE RACCONTI CATTOLICI, è...
PAOLAAgghiacciante. Non credo di aver compreso bene nemmeno questo racconto ma di certo trasuda omertà e connivenza col male, desiderio di riscatto, miseria umana. Continuo a rifletterci.

AMINAInquietante anche se forse c'era da aspettarselo visto che ci sono di mezzo dei trascorsi in manicomio. Sono rimasta comunque senza parole.

9. Che ne pensi del titolo? È attinente?
PAOLABe’ … è il titolo di un racconto della raccolta, per cui è difficile giudicarne l’attinenza.

AMINAE’ quello più rappresentativo delle atmosfere desolate latinoamericane.

10. Hai trovato parole che non conoscevi?
PAOLA
Non mi pare.

AMINALunfardo: il dialetto di Buenos Aires

11. Ti ha ispirato un libro da leggere, dopo questo?
PAOLAIl romanzo Don Segundo Sombra, di Ricardo Güiraldes, definito l’ultimo capolavoro della letteratura gaucesca.

AMINAMagari questa stessa raccolta di racconti ma in lingua originale perché ho la sensazione di essermi persa qualcosa.

12. A chi lo consiglieresti?
PAOLA
A chi volesse accostarsi a questo autore, prima di scalare la sua montagna, ovvero “2666” , un romanzo di oltre mille pagine che anch’io vorrei leggere...prima o poi.

AMINAA chi ama la letteratura surrealista latinoamericana.

13. Su quale supporto lo hai letto
PAOLA
Cartaceo

AMINA
Cartaceo

14. Altro?
PAOLA
Molto toccante il testo di una delle due conferenze riportate a fine libro, “Letteratura + Malattia = Malattia”. Ho letto che Bolaño scoprì di essere molto malato a 38 anni e morì a 50 anni. Quindi, ha convissuto una dozzina d’anni con la sua malattia, continuando a lavorare fino alla fine dei suoi giorni. Un esempio di passione, tenacia e determinazione.

AMINA
“Mentre cerchiamo l’antidoto o la medicina per curarci, dobbiamo continuare a passare dal sesso, dai libri e dai viaggi, pur sapendo che ci portano all’abisso, che è, guarda caso, l’unico posto dove si può trovare l’antidoto.”

Questo brano è tratto dalla conferenza in cui Bolaño parla della Malattia e dell’approssimarsi della morte.

Ripensando ai racconti appena letti mi sono accorta che queste tre ‘strade’, come le chiama a conclusione della conferenza, e cioè il sesso, i libri e i viaggi ‘su cui bisogna spingersi e perdersi per ritrovarsi o per trovare qualcosa, con un po’ di fortuna il nuovo, quello che è sempre stato lì’ sono proprio quelle che hanno intrapreso alcuni dei personaggi.
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lunedì 13 febbraio 2017

Marco Tirelli al Caveau di Serena Fineschi

Marco Tirelli al Caveau di Serena Fineschi

L'ultima idea esposta da Serena Fineschi nel piccolo Caveau nel Vicolo del Coltellinaio a Siena è dell'artista Marco Tirelli.

Ho aspettato per due settimane l'uscita dell'articolo che Sienafree.it dedica ogni mese a Caveau con un commento dell'autore ad illuminarci sul significato dell'idea scelta ma fino ad ora non è stato pubblicato niente.

E allora, cosa ho fatto? ora ve lo dico.

Non conoscendo l'artista, ho cercato su internet. Il suo sito personale non mi ha soddisfatto del tutto in quanto non ho trovato niente che mi definisse la sua poetica. Ho continuato a cercare e non solo ho scoperto che esiste qualcuno addetto ai lavori che scrive un Catalogo dei viventi e quindi anche di artisti viventi ma anche che Marco Tirelli "pensa oggi alla sua arte come l’ago di una bilancia sui cui due piatti stanno Malevich e De Chirico; infatti le sue forme sono sospese in uno spazio che è mentale, assoluto, e richiamano modelli di contemplazione zen.".

All'inizio della scheda biografica l'autore, Giorgio Dell'Arti, riporta questa idea di Tirelli: Ogni cosa, scavandola dentro, ti porta sempre verso l’infinito, la forza dell’opera è quando nasce senza tempo.

Qui l'intero post.

Ecco, l'idea di Tirelli per il Caveau di Siena a me è sembrata una porta, o meglio, un varco con cornici alterne nere e bianche quindi come se fossero più porte una sopra l'altra e quindi mi sono venuti in mente il gruppo storico "The Doors", il romanzo "La Porta" di Magda Szabó, il detto "quando si chiude una porta si apre un portone", le porte di Siena, la porta d'ingresso di casa mia, fragile all'inizio, blindata dopo che sono venuti i ladri. E comunque un nuovo inizio, un'alternativa, quasi come se, dopo lo spiraglio di luce dell'artista precedente, Serena Fineschi avesse voluto salutarci, a conclusione del progetto "Caveau, idee mai nate", con un invito a continuare ciascuno per la propria strada senza paura anche se un po' di paura fa perché la meta finale ognuno la immagina a modo suo ma nessuno ha la certezza di come sarà realmente.

Poi però quel nome, "Malevich", e quella parola, "assoluto", mi hanno illuminato all'improvviso e ho "visto" anch'io l'assoluto di Malevich, il limite ultimo della pittura raggiunto per prima da questo artista con l'intuizione del "Quadrato nero su fondo bianco", come un eclisse, come ci svelò, in una mirabile lezione a colpi di tweet nel 2014, l'architetto catalano Miquel del Pozo Puig.

Sono andata a rileggermi tutta la lezione perché mi colpì moltissimo fino alla commozione sapere che il "Quadrato nero su fondo bianco" era presente durante il trapasso del suo autore, era stato rappresentato nella sua bara e nella sua tomba. Ecco la testimonianza fotografica presa dai tweet di Miquel del Pozo Puig.

Malevich: Quadrato nero su fondo bianco
  
Malevich: Quadrato nero su fondo bianco

Malevich: Quadrato nero su fondo bianco


Era diventata la sua firma.

Ed ecco che ho visto non più 'porte' ma 'quadrati', 'assoluto' nell'idea di Marco Tirelli.

***

Gli altri artisti che hanno esposto la loro idea nel singolare Caveau di Serena Fineschi a Siena li trovi nella categoria Caveau

lunedì 6 febbraio 2017

Sindrome Assassina di Bruno Pronunzio

Sindrome Assassina di Bruno Pronunzio

Sindrome Assassina è il secondo thriller scritto da Bruno Pronunzio per Leone Editore.

Del romanzo di esordio uscito nel 2015, Chiave di Volta, ne avevo già scritto qui.

Sindrome Assassina è uscito a metà gennaio e ho voluto leggerlo in tempo per la presentazione che c'è stata a Siena, a Borgo Grondaie, una settimana fa.

È stata una presentazione gustosa grazie all'aperitivo di apertura e interessante sia perché Pronunzio ha introdotto entrambi i thriller in maniera puntuale ma senza svelare troppo della trama sia perché ci sono state diverse domande da parte del pubblico.

Si sa, il momento delle domande è spesso un po' imbarazzante.

Oltre che alla passione per la lettura da parte del pubblico credo che molto dipenda anche dalla curiosità che l'autore che presenta il proprio libro riesce a trasmettere e Pronunzio ci è riuscito.

L'oggetto del desiderio di Sindrome Assassina è stato per me davvero uno scoop poiché esiste realmente ed io non ne avevo mai sentito parlare.

Per impossessarsi di questo 'tesoro' ci vorranno tre omicidi in tre città diverse: Milano, Roma e le rive del lago di Como. Non posso aggiungere altro.

Il romanzo si svolge per la maggior parte negli anni duemila con qualche salto indietro nel tempo nel 1300, 1800 e negli anni 'Settanta e 'Ottanta del secolo scorso.

Sindrome Assassina secondo me è un omaggio a Civitavecchia, città natale dell'autore, anche se Pronunzio alla mia domanda se gli fosse stato chiaro fin dall'inizio di ambientare lì parte del romanzo ha risposto che in realtà all'inizio il romanzo doveva essere ambientato a Torino.

Credo faccia parte del processo creativo dell'autore di cui noi tanto vorremmo sapere, tipo mia sorella che ha posto una domanda al riguardo durante la presentazione, ma di cui l'autore stesso non è detto che abbia chiaro tutto il percorso dall'intuizione iniziale fino all'ultima parola del libro. Ed io non voglio insistere oltre. Tra l'altro Pronunzio ci ha anche svelato che in Chiave di Volta il primo finale non gli era piaciuto ed è stato a quel punto che gli è venuta l'idea dei nazisti.

Sindrome Assassina di Bruno Pronunzio

In Sindrome Assassina con un po' più di enfasi il filo conduttore è 'Ciò che appare a volte inganna', già dalla copertina. Quando, infatti, Pronunzio ha richiamato la nostra attenzione su ciò che appare nella pupilla dell'occhio in primo piano, una mia amica invitata all'evento, lettrice accanita di gialli e thriller e dotata di una cultura storica e letteraria notevole, dopo un nano secondo ha dato la risposta. Ma io, che ho letto il libro, le ho detto che aveva ragione ma a metà. Credo di averla incuriosita abbastanza ;-)

Sindrome Assassina, rispetto a Chiave di Volta, l'ho trovato più impegnativo per il lettore nel senso che bisogna essere ben presenti per seguire tutti i passaggi. Quando, infatti, si arriva al punto in cui qualcuno mette in fila i pezzi, si tira un sospiro di sollievo. Mi sono fatta l'idea che non sia un caso ma che Pronunzio non riveli tutti gli indizi perché vuole portarcelo lui il lettore alla soluzione.

I thriller non sono libri che si rileggono, oppure sì?, nel senso che una volta che si sa come vanno a finire hanno raggiunto il loro scopo. I libri di Pronunzio però secondo me rimangono 'consultabili' per via di tutte le location dove è ambientata la storia; quasi una guida turistica è la loro seconda funzione.

In Sindrome Assassina oltre a citazioni colte, riferimenti artistici e letterari ci sono anche riferimenti al "bel canto", all'opera. Forse questa particolarità c'entra con quanto ha rilevato uno dei partecipanti alla presentazione e cioè che nei romanzi di Pronunzio il protagonista in realtà è la trama e non un personaggio.

Se si tratta di un sequel di Chiave di Volta? No, anche se ritroviamo due dei personaggi: Stefano Zarri, che non è un detective ma un informatico, e la sua fidanzata ungherese.

Chi è l'assassino? Non il maggiordomo!