lunedì 28 novembre 2016

Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

Il 1 Dicembre a Siena è la Festa di Sant'Ansano, compatrono, battista e protomartire di Siena;  ho pensato quindi di fare cosa buona e giusta segnalandovi che la Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano, solitamente chiusa salvo rare eccezioni, è solitamente aperta per l'occasione per la celebrazione della Messa delle 11.

Ho avuto modo di vedere questa Chiesa nel 2015 in occasione della Messa per benedire i pellegrini che l'indomani mattina sarebbero partiti per Roma verso il Giubileo della Misericordia.

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

La pianta della Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano a Siena è un po' storta, irregolare diciamo 'in quanto adattamento di una preesistenza.'**. Sulla parete di sinistra ci sono affreschi di metà 'Quattrocento raffiguranti l'Adorazione dei Magi e Sant'Ansano; sull'altare tela del Rustichino (1617) raffigurante il Processo di Sant'Ansano.

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

In realtà non è stata quella del 2015 la prima volta che ho visto l'interno della Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano.

Tanti anni fa infatti, in una di quelle volte in cui mi sentivo molto giovane marmotta o Indiana Jones, insieme ad altri colleghi entrai in maniera 'abusiva' ma in 'pace' nella Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano. Da dove? da questa porticina (vedi foto sotto) oltre la quale ci sono delle scale che portano in un'ala dell'adiacente Istituto Santa Teresa di Siena chiamata per l'appunto Sant'Ansano.

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

Erano gli anni '90 e io lavoravo nella portineria del Convitto Santa Teresa. C'erano una quantità di chiavi che non avevamo idea di cosa aprissero e altrettante porte chiuse che non sapevamo dove portassero.

In uno di quei pomeriggi, in cui forse il Convitto era vuoto in attesa della ripresa delle attività solite, prendemmo di mira 'quella' porta dell'ala Sant'Ansano del Convitto e cominciammo a provare ad aprirla. Scendemmo le scale e per aprire la porticina che immetteva nella Chiesa bastò limare la punta di una chiave 'anonima'.

Non potete capire l'euforia per la scoperta accompagnata da un po', pochissimo in realtà, senso di colpa per aver 'violato' un luogo sacro.

La Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano è piccolina ma c'è tutto quello che deve esserci tipo questo confessionale formato mignon.

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

La Festa di Sant'Ansano segna anche l'inizio dell'Anno Contradaiolo per cui in questo giorno le Contrade si recano in corteo alla Cattedrale di Siena dove l'Arcivescovo concelebra insieme ai Correttori* delle Contrade una Santa Messa alla presenza di Autorità Cittadine.
In genere il Corteo parte alle 17 da Palazzo Pubblico e alle 17.30 viene celebrata la Messa.

Perchè si chiama Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano? perchè fu costruita nel 1443 adattando una casa torre nella quale si credeva fosse stato imprigionato Sant'Ansano.**

La facciata è più ampia e alta rispetto all'interno, e mantiene i caratteri di un'abitazione, a eccezione dell'oculo quattrocentesco.**

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

***

(*) Correttore: sacerdote che cura la parte religiosa della Contrada, oltre a benedire il cavallo prima di ogni Palio.

(**) Dalla scheda a cura del gruppo FAI Giovani SIENA in occasione della FAImarathon d'autunno 2016.

lunedì 21 novembre 2016

zero K

Siena: Chiesa delle Carceri di Sant'Ansano

Intervista doppia a the Saba Sisters Readers sul romanzo zero K di Don DeLillo Einaudi Editore.

Come sempre prima il riassunto della trama, questa volta tratto dal sito web di Einaudi Editore.

Il padre di Jeffrey Lockhart, Ross, è un magnate della finanza sulla sessantina, con una moglie più giovane, Artis Martineau, gravemente malata. Ross è uno dei finanziatori di Convergence, un'azienda tecnologica con una futuristica sede ultra segreta nel deserto del Kazakistan. Attraverso le ricerche biomediche e le nuove tecnologie informatiche, a Convergence possono conservare i corpi e le coscienze fino al giorno in cui la medicina potrà guarire ogni malattia. Decidono così di affidarsi a Convergence: prima Artis poi lo stesso Ross, incapace di continuare a vivere senza l'amata compagna. Così Jeff si riunisce con il padre e la moglie per quello che sembra un addio - o forse un arrivederci. Jeff è turbato: non capisce se a Ross è stato fatto il lavaggio del cervello dagli uomini di Convergence (un gruppo che ha non poco in comune con una setta religiosa o un manipolo di body artist) oppure se è la decisione consapevole e radicale di un uomo tanto ricco e potente che ha deciso di possedere anche la morte. Ma questa è anche l'occasione per ristabilire un rapporto - ammesso che non sia troppo tardi - con il padre: una relazione incrinata anni prima, quando il genitore decise di lasciare la madre di Jeff.

1. La tua reazione all'incipit "Tutti vogliono possedere la fine del mondo"?
PAOLA
Ho pensato che ancora una volta avremmo affrontato temi “caldi”, come la morte, i disastri ecologici, le catastrofi naturali, il futuro, temi sempre molto cari a DeLillo.


AMINA
Un indizio del fatto che avevo tra le mani un libro che mi avrebbe fatto riflettere sull’esistenza, sulla mia esistenza; cosa che ho sempre amato fare.


2. Dai un voto alla trama e spiegalo

PAOLA
6/10
DeLillo scrive magnificamente, ha sempre una visione futuribile e avanzata del mondo reale (l’ecologia della disoccupazione è già un tema interessante, ad esempio), sa creare personaggi molto forti o molto fragili, ma…gira sempre intorno al cuore delle cose, non si spinge mai oltre, non azzarda mai una risposta alle domande esistenziali e questo mi lascia sempre un senso di incompiutezza che da un uomo di 80 accetto poco volentieri, mi aspetto sempre un pizzico di saggezza in più.


AMINA
8/10
Il voto è per la completezza con cui DeLillo ha scritto i dialoghi per descrivere la soluzione proposta per rispondere al desiderio folle -‘folle’ secondo me- di alcuni
moltidi possedere la fine del mondo. Non è fantascienza, lo so, e prova ne è la notizia di qualche giorno fa del verdetto di un giudice di Londra sulla richiesta di ibernazione post mortem di una quattordicenne malata terminale di cancro ‘nella speranza di essere un giorno risvegliata e guarita con nuove cure’ (link qui); ma DeLillo è andato oltre creando un personaggio disposto a sottoporsi alla sospensione criogenica pur non avendo alcuna malattia, un ‘messaggero’, e non si è tirato indietro nell’affrontare le obiezioni di chi non sente la necessità dell’immortalità corporea. Divago un attimo e ripenso alla canzone dei Queen ‘Who wants to leave forever?’. Le riflessioni che DeLillo, ottantenne, offre con questo libro sono molteplici e proprio per questo metto le mani avanti e chiedo venia se troverete che mi contraddico in qualche risposta. La mia riflessione non finisce con la fine della lettura del libro.


3. Se la trama fosse un quadro, quale sarebbe?

PAOLA
Sarebbe un insieme di quadri, quelli della Cappella Rothko di Houston.


AMINA
Il ‘palcoscenico’ su cui si svolge la trama è stato già concepito come un’opera d’arte ben definita e rivelata nel romanzo. Inoltre, la preferenza di DeLillo per Rothko, come già in Cosmopolis, ritorna anche qui; ma io vedo zero K come un monocromo bianco di Robert Ryman.


4. Lo stile è…

PAOLA
Incalzante nella prima parte, con ambientazioni e situazioni che trasmettono un senso di smarrimento molto forte; nella seconda parte, invece, si perde questo ritmo e lascia maggiore spazio alla quotidianità.


AMINA
Incalzante come già avevo avuto modo di notare in Cosmopolis e quindi si legge tutto d’un fiato se non fosse per l’argomento che richiede di fare una pausa ogni tanto altrimenti si viene travolti da ciò che ci sembra surreale ma che in realtà lo diventerà sempre meno. La scelta delle parole non è mai casuale. Le parole devono ‘definire’, sempre.


5. Frase da citare

PAOLA
È nella natura umana voler sapere di più, sempre di più, sempre di più, - ho detto – ma è anche vero che quello che non sappiamo ci rende umani. E quello che non sappiamo non ha fine.


AMINA
“Solo l’uomo esiste. Le rocce sono, ma non esistono. Gli alberi sono, ma non esistono. I cavalli sono, ma non esistono.”


6. Il personaggio più amato

PAOLA
Nessuno in particolare. Ho provato pena per Artis, soprattutto quando dice “Mi sento una versione artificiale di me stessa. Sono una persona che dovrebbe essere me”. Lo sconforto e lo smarrimento racchiusi in queste affermazioni mi hanno colpita molto. D’altronde “Lei sarebbe morta per induzione chimica, in una camera sotterranea con la temperatura sotto lo zero, tramite procedure precisissime guidate da un delirio collettivo, dalla superstizione, dall’arroganza, dall’autoinganno”. E poi, il capitoletto che porta il suo nome, collocato a metà del libro, mi ha ricordato la stessa tecnica usata da Faulkner in “Mentre morivo”, quando a metà lettura ci si imbatte in Addie Bundren, colei che sta morendo e, mentre osserva dalla finestra uno dei figli che costruisce la sua bara, riflette sulla sua vita e si racconta.


AMINA
Jeffrey perché è quello che dà voce a quelle che potrebbero essere le mie obiezioni nei confronti della possibilità ‘dell’eterno rigenerarsi’ e perché ho empatizzato con la sua ‘schifiltosità’ e tutte le sue abitudini
manietranne quella relativa alle camicie; io ne avrei comprata una nuova... ;-)


7. Il personaggio meno amato

PAOLA
Madeleine, la madre di Jeff, e le sue manie.


AMINA
I gemelli Stenmark, i ‘visionari buffoni’.


8. Il finale è…

PAOLA
L’intero disco solare, che inondava di luce le vie e illuminava le torri alla nostra destra e alla nostra sinistra; mi sono detto che quello che il bambino vedeva non era il cielo che ci crollava addosso: lui sperimentava il più vero senso di stupore nell’ultimo contatto tra la terra e il sole (…) Non avevo bisogno della luce del paradiso. Mi bastavano le grida di meraviglia del bambino
Credo che DeLillo sia un inguaribile ottimista poiché anche Rumore bianco si chiude con un bambino e un tramonto, segni di speranza.


AMINA
Uno sguardo capace di amore incondizionato.


9. Che ne pensi del titolo? È attinente?

PAOLA
Si, certo. zero K è proprio l’unità speciale dove gli individui (ricchi, anzi, ricchissimi), che hanno scelto di sottoporsi alla crioconservazione , vengono condotti e “conservati”.


AMINA
Sì, e viene spiegato nel capitolo decimo.


10. Hai trovato parole che non conoscevi?
PAOLA
Quelle tecniche, legate appunto alla crioconservazione.
AMINA
No.


11. Ti ha ispirato un libro da leggere, dopo questo?

PAOLA
In realtà no. Sono andata a rileggermi il finale di Rumore bianco, romanzo da lui pubblicato nel 1985.


AMINA
Mi ha fatto venire voglia di approfondire la conoscenza dello scrittore Witold Gombrowicz che non conosco e del quale è stato citato solo il nome in questo romanzo.


12. A chi lo consiglieresti?

PAOLA
A chi non si deprime facilmente, a chi non si aspetta delle risposte ma si accontenta di porre la domanda.


AMINA
Questa volta non è semplice nel senso che lo consiglierei a tutti; mi rendo però conto che se uno non è ‘abituato’ a pensare alla fugacità dell’esistenza e alla morte in maniera ‘serena’ questo romanzo gli potrebbe mettere un po’ d’ansia perché, come dire?, ho paura che sia ‘visionario’ come lo è stato 1984 di Orwell. Sarei curiosa però di sapere l’impressione che un libro come questo suscita in un ‘millenial’ (ne ho in mente uno in particolare; magari glielo suggerisco).


13. C'è una morale secondo te?

PAOLA
Una pretesa, forse, più che una morale, quella che sia possibile annientare la morte. A un certo punto si legge questa frase: “Noi vogliamo ampliare i confini di ciò che significa essere umani – ampliarli per poi superarli. Vogliamo fare tutto quello che è nelle nostre facoltà per cambiare il pensiero umano e manipolare le energie della civiltà” L’uomo al centro del mondo, l’uomo al centro dell’universo, l’uomo che spera di piegare la realtà ai suoi bisogni e ai suoi desideri, anche quando questi sono indotti e frutto di manipolazioni altrui.


AMINA
Forse una potrebbe essere la necessità di una nuova percezione della realtà che faccia vedere le cose nella loro ‘brillantezza’ come è accaduto ad Artis, subito dopo l’operazione ad un occhio. Preferibilmente – aggiungo io – non ricorrendo alla criogenesi.


14. Su quale supporto lo hai letto

PAOLA
In versione e-book


AMINA
E-book


15. Altro?

PAOLA
Ho letto anche Rumore bianco e Cosmopolis di DeLillo. Rimango dell'idea che Eric Packer, il protagonista di Cosmopolis, sia il suo personaggio più riuscito. In Rumore Bianco (1985) DeLillo affronta il tema della morte ma la esorcizza con un bel tramonto, un giro consolatorio al supermercato dei protagonisti, come un invito a non pensarci troppo; in Cosmopolis (2003), la stessa paura della morte viene affrontata attraverso la "mania del controllo" del suo potentissimo e ricchissimo protagonista, un accumulatore di denaro e di successi, ma un imprevisto vanificherà tutti i suoi sforzi; in zero K persiste la paura della fine, la morte è un fatto, un dato con cui bisogna fare i conti e la soluzione sarebbe "anticiparla". Il fatto è che, anche questa volta, DeLillo, come ho detto all’inizio, DeLillo ci gira intorno...ci gira intorno...e, come già fece in Rumore Bianco, non si spinge più in là di un bel tramonto finale.


AMINA
Il monologo di Artis Martineau nella parte centrale del romanzo è poesia, secondo me. Mi piace credere che tra le righe della voce didascalica fuori campo si nasconda il pensiero di DeLillo rispetto all’argomento trattato. L’io è quando non c’è più l’ego e di ciò possiamo prenderne piena consapevolezza nell’isolamento. E di nuovo io mi auspico ‘quell’isolamento’ non necessariamente in una ‘capsula’ da ibernazione. E qui mi fermo e continuo a riflettere.

lunedì 14 novembre 2016

Io e i Social

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Finalmente mi si è illuminata la lampadina e ho capito cosa rappresentano per me i Social oggi: la possibilità di recuperare una modalità di socialità spensierata che offline ho vissuto solo per un breve periodo nella mia vita di adolescente.

Modalità - ed è questo quello che mi si è chiarito ora - 'esente' da tutto ciò che invece si è aggiunto, ha caratterizzato, continua a caratterizzare, il rapporto con le amicizie che sono arrivate successivamente.

'Tutto ciò' tipo? la condivisione di dubbi esistenziali, di difficoltà o successi lavorativi, di questioni affettive o convinzioni morali, di sostegno reciproco. L'evoluzione di tutto questo negli anni di frequentazione.  Giusto per farvi capire cosa intendo. Il tutto con un atteggiamento alla pari, autentico e desideroso di partecipare della vita dell'altro senza attaccamenti morbosi.

Numericamente queste amicizie si contano forse sulle dita di una mano.

Ho avuto bisogno proprio adesso di fermarmi un attimo a fare questa riflessione perché si era palesato un certo disagio e mi stava venendo voglia di cliccare su ‘cancella il tuo account’ dai diversi Social.

Il disagio di trovarmi in un luogo con una marea di persone -molte di più di quelle che ho frequentato in tutta la mia vita- e di sapere di non poter condividere ciò che avrei voluto perché non avrebbe avuto senso perché i miei amici storici non erano lì. Per loro scelta personale, certo; ma non erano lì. E mi sentivo prendere dalla nostalgia pur rendendomi conto che I Social non avrebbero potuto comunque ricreare lo spazio che è proprio dell'amicizia perché lo 'spazio' dei Social è dispersivo ed è come essere sotto i riflettori, sempre on stage, alla mercé del proprio pubblico variegato e più o meno presente
distratto.

Ho capito che, per me, i Social no sono fatti per  coltivare le amicizie.

Coltivare le amicizie ha dei 'riti' propri.

Tipo? concedersi e concedere del tempo all'altro per telefonarsi, per parlarsi, per vedersi, per fare delle cose insieme con la consapevolezza di dover conciliare il tutto con le proprie responsabilità in base allo stile di vita che ognuno di noi si è scelto.

La leggerezza c'è; ma non così 'spensierata' come poteva esserci a vent'anni.

Una volta capito questo, e cioè che per me i Social non sostituiranno mai il reale; che rimarranno luoghi di contatto, certo, ma senza la componente introspettiva condivisa (mi piace chiamarla così) coltivata durante anni di frequentazione offline, altro che cancellarmi! Mi sono addirittura registrata su un altro Social: Snapchat.

Mi ci scappa da ridere solo a dirlo perché mai e poi mai avrei pensato di andare in giro per strada parlando da sola con l’iPhone.

Se vi ho incuriosito, intanto il mio nickname è: @ami_saba

Con Snapchat si entra praticamente in casa delle persone che hanno voglia di raccontarsi e ovviamente quelle più briose, che si inventano delle rubriche sulle proprie passioni e quindi si dimostrano anche di ‘pubblica utilità’ conquistano subito l’attenzione. Il tutto rimane visibile per massimo 24 ore. Infatti gli 'snap', della durata di massimo 10 secondi ciascuno, dopo 24 ore vengono eliminati automaticamente.

Una di queste persone che io ritengo 'briose' ve lo dico subito è Francesca Crescentini, ovvero @tegamini. La sua rubrica è LibriniTegamini e lei è una fantastica ‘propagatrice di entusiasmi’ come recita la sua bio nei vari altri Social.

Come si fa a trovare persone interessanti su Snapchat e anche a proporre una propria ‘storia’ per farla conoscere ad altri? Seguendo/contattando ad esempio il profilo @SnapNews Italia e @Ghostloved.it che ogni giorno propongono dei profili da seguire; ma non solo. Infatti sono in piena evoluzione!

Ecco, avevo bisogno di puntualizzare questa cosa dei Social a me stessa, prima di tutto, ad alta voce :-)

lunedì 7 novembre 2016

Ilaria Mariotti al Caveau di Serena Fineschi

Siena: Ilaria Mariotti al Caveau di Serena Fineschi

La nona idea esposta nel piccolo Caveau nel Vicolo del Coltellinaio a Siena è dell’artista Ilaria Mariotti. Rimarrà esposta fino al 25 novembre.

Ha riferito in proposito Ilaria su Sienafree.it

Sono una curatrice non un’artista, quindi quando Serena mi ha chiesto di partecipare a Caveau non ero sicura di riuscire a trovare un’idea che potesse vivere anche “fuori dal libro” - ovvero dalla mia dimensione primaria: la scrittura. Inoltre mi preoccupava il fatto che questa idea fosse percepita per brevi istanti, collocata in un luogo inedito e non deputato all’arte - spiega Ilaria Mariotti - poi mi sono lasciata affascinare dallla suggestione di quel luogo - il Caveau - che originariamente ospitatava una stazione barometrica, uno spazio cioè in cui si misurava la temperatura, su base scientifica.

Ecco il testo dell'idea di Ilaria Mariotti.

***

La bella statuina.

Da bambina avevo una torre di Pisa in miniatura che cambiava colore: diventava rosa con la pioggia, blu con il sole.
Mi piacevano così tanto quelle piccole sculture cangianti. Confesso che mi attraggono ancor oggi.
Qualcuno le chiama “le belle statuine”.
Passando dalle bancarelle del Campo dei Miracoli, a Pisa, era un gioco verificare se, nella distesa di torri pendenti in miniatura uguali alla mia, ce ne fosse una che svirgolava dal gruppo. Trovarne una rosa in un campo azzurro, ad esempio. Non succedeva mai.


Consultare la mia torre era per me una scommessa tutta personale. Dovendo uscire, se era rosa portavo l’ombrello. Se questo si fosse rivelato inutile sarebbe stata tutta responsabilità del soprammobile e mi dicevo che non avrei dovuto fidarmi. Se invece le previsioni si verificavano, al ritorno la guardavo con orgoglio e gratitudine. Come se quei colori – che paragonavo anche a certe sfumature dei cieli della mia città – la rendessero viva, recettiva, dialogante.

Per Caveau ho pensato alla possibilità di condividere con chi passa un foglio trattato con una soluzione sensibile alla variazione di umidità. Il foglio dovrebbe cambiare colore con il tempo: diventare blu se bello, rosa se piovoso. L’idea è quella di sostituire idealmente la stazione barometrica che una volta era ospitata dall’edicola con uno strumento misuratore poco scientifico.

Mi piacerebbe verificare se, su questo foglio cangiante, si possono impigliare le attenzioni dei passanti. Così come sulla torre si impigliava la mia. Mi piacerebbe che a questo barometro impreciso e tuttavia quasi attendibile ci si rivolgesse per verificare se quell’ombrello era proprio necessario. O per misurare quanto il foglio dica il vero o meno rispetto alle previsioni meteo sentite alla radio, alla televisione o consultate su internet.

Desidererei che quella bella statuina stesse per la strada e nella strada, registrando tuttavia un microclima che nell’edicola di Caveau è diverso da quello che esiste aldilà del vetro, in quello spazio pubblico su cui questo piccolo scrigno si affaccia.

Questa immagine ha per me il valore di sintetizzare un valore e una qualità per me essenziali nel pensiero che si esprime attraverso l’arte. Che si verifica in quei processi di pensiero che non registrano necessariamente in modo esatto quanto avviene nel loro tempo. Che sono leggermente fuori fase e disallineati rispetto alla storia e rispetto alla scienza per via di un nucleo poetico che li può rendere inaffidabili perché disassati in modo inquieto. E che, eppure, stanno nella loro storia e nel loro tempo, registrano e, in alcuni casi, anticipano cambiamenti, dinamiche, processi.

A Caveau affido questo piccolo progetto mai realizzato, una pratica mai da me contemplata, un’immagine che non si concretizza. Caveau ha permesso, a me curatore, di pensare prima ad un’immagine di sintesi e poi alle parole che la accompagnano.

Ma alla fine, questa bella statuina è modellata attraverso le parole e non realizzata con materiali.

Di statuine che cambiano colore con il tempo sulle bancarelle oggi non ce ne sono più. Temo che sia per via della possibile tossicità delle sostanze utilizzate all’epoca.

Pisa, ottobre 2016

***

Gli altri artisti che hanno esposto la loro idea nel singolare Caveau di Serena Fineschi a Siena li trovi nella categoria Caveau