lunedì 30 maggio 2016

Il Cinghiale che uccise Liberty Valance


Il Cinghiale che uccise Liberty Valance

Da oggi su My Day Worth c'è una nuova categoria collegata ai libri: the Saba Sisters Readers 

Di cosa si tratta? di uno spazio che, sotto forma di intervista doppia, proporrà due punti di vista su un libro di autore contemporaneo o straniero che volta per volta io e mia sorella Paola, una lettrice 'forte' secondo me, leggeremo in contemporanea ma individualmente.

Il libro con il quale apriamo le danze è Il Cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci per la Minimum Fax  e candidato al Premio Strega 2016.

Prima di entrare nel vivo dell'intervista doppia, un breve riassunto della trama del romanzo direttamente dalla penna di Amina.

Meacci nel suo Il Cinghiale che uccise Liberty Valance ci propone una carrellata di vite degli altri attraverso lo sguardo di un testimone singolare, un cinghiale che, contrariamente a quanto si possa immaginare, frequenta non solo il suo habitat naturale - il bosco - ma anche le vie di Corsignano, il paese immaginario tra la Toscana e l'Umbria dove l'autore ha ambientato il suo romanzo. Siamo negli anni 1999 e 2000; ma non ci sono festeggiamenti straordinari per il capodanno del millennio. Sarebbe stato troppo scontato, credo.

Il cinghiale in questione non è un cinghiale qualunque ma è 'il' cinghiale Apperbohr (Cinghiarossa) 'di ottanta chili e passa, riconoscibile dalla striscia rossa tra la cinghia sul collo e la linea bitorzoluta della spina dorsale', che ha avuto una singolare 'epifania' in contemporanea ad una battuta del film western L'uomo che uccise Liberty Valance alla cui visione egli si trova ad assistere per caso.

All'improvviso 'le cose gli cascano addosso' perché comprende il linguaggio degli umani, gli 'Alti sulle Zampe' e... be, tutto diventa una scoperta.

E ora entriamo nel vivo dell'intervista doppia!

 1. La tua reazione all’incipit “Il respiro curvo del vento e l’asma ghiacciato degli ultimi dèi rimasti ci portano nel cuore pietroso di Corsignano”?
PAOLASorpresa. L'incipit sembra la descrizione di un istante rubato all'Eternità, alla Storia, al Tempo.

AMINA
Non ho avuto il tempo di capire se mi era piaciuto o no tanto sono rimasta spiazzata da quell'asma al maschile. Ho quindi cercato su internet e sul sito della Treccani ho trovato conferma del fatto che la parola 'asma' si trova usata sia al maschile che al femminile e che l'oscillazione deriva dal fatto che tanto in greco quanto in latino 'asma' era di genere neutro e di solito le parole di genere neutro che l'italiano ha preso dalle lingue classiche hanno assunto il genere maschile.

Ho trovato anche un esempio illustre di utilizzo di asma al maschile e cioè Giacomo Leopardi che in una lettera al padre scrive 'Sono stato assalito per la prima volta nella mia vita da un vero e legittimo asma che m'impedisce di camminare, il giacere e il dormire' (Fonte Leopardi a cura di Iris Origo per la collana Ritratti di Castelvecchi Editore)

Superato questo momento quasi di imbarazzo e che però, ho capito dopo, era solo un 'antipasto' del linguaggio ricercato di Meacci, sono stata subito conquistata dalla location di sapore ancestrale dove si svolgeranno i fatti e cioè l'immaginaria Corsignano, paese di origini etrusche, posta al confine tra la Toscana e l'Umbria.

Scusate la lungaggine; ma volutamente non ho limato la risposta. Dovevo togliermi subito questo sassolino dalla scarpa.

2. Dai un voto alla trama e spiegalo.
PAOLA7/10
Buono, poiché ben scritto ma diversi personaggi (e le relative storie) rimangono un po' “appesi”, estranei e talvolta appaiono in esubero rispetto alla trama. Inoltre, ho trovato un po' troppo insistente il richiamo ad immagini televisive e cinematografiche.

AMINA8/10
Se si sceglie di leggere il romanzo seguendo l'ordine non cronologico proposto dall'autore bisogna superare le prime cinquanta pagine per capire qual è il clou della trama e questo può un attimo infastidire; ma la simpatia, tenerezza, empatia e quant'altro per Cinghiarossa e per le storie dei tanti personaggi del romanzo è comunque assicurata poiché alcune storie sembrano dei racconti indipendenti.

Scegliendo una lettura cronologica e quindi lineare si arriva abbastanza presto al dunque ma certo viene meno l'effetto dei salti temporali avanti e indietro voluto da Meacci e che certo richiedono una maggiore attenzione da parte del lettore.

3. Se la trama fosse un quadro, quale sarebbe?
PAOLAUn quadro di Bruegel, il vecchio, uno di quelli in cui ogni volta che ci si posa lo sguardo si scopre un personaggio che la volta precedente non avevi notato.

AMINA
Un quadro di un artista fiammingo come ad esempio Danza nuziale all'aperto del 1610 di Pieter Brueghel il giovane. Questo tipo di episodio non è presente nel romanzo ma la caratterizzazione dei personaggi nel quadro di Brughel mi fa credere che sarebbe stato abilissimo nel rappresentare i personaggi che popolano Corsignano.

4. Lo stile è...
PAOLA...scoppiettante, divertente, senz'altro originale.

AMINA
...colto, ricercato, impegnativo nel gestire tre 'lingue' diverse: quella dell'autore (l'italiano arricchito anche da parole onomatopeiche), quella dei corsignanesi (Il toscano), quella dei cinghiali (inventata di sana pianta con tanto di sintassi!).

5. Frase da citare
PAOLAUna frase e poi un breve dialogo tra Walter e Fabrizio, mentre guardano per l'ennesima volta il film “L'uomo che uccise Liberty Valance”:

se si potesse dire amore in cinghialese: se si potesse dire amore in qualsiasi lingua”, la frase

- “Che uno sappia leggere e scrivere non è, in sé, un bene...
- “È un meglio, infatti...
- “Che è nemico del bene, come si sa…” , il dialogo (perché fa riflettere)

AMINA
Ho sottolineato moltissime frasi ma qui riporto la prima che mi ha colpito.

Durante il funerale di Agnese - uno dei capitoli più belli secondo me - mentre Amedeo (amante di Agnese in gioventù), Marcello, Mauro e Donato caricano la bara di Agnese:

Lui, Amedeo, suda nel fresco di lana grigio; è la seconda volta che lo indossa: è il primo a sinistra, la parte stretta dell’esagono irregolare che La contiene. Lei, Agnese.

L'ho trovato di una poeticità disarmante. Quel 'La contiene' quasi a enfatizzare la preziosità del carico da portare sulla spalla.

6. Il personaggio più amato e perché?
PAOLAAntonia e la sua strampalata storia d'amore. Abbandonata all'alba delle nozze, riduce il proprio abito da sposa in centrini, tendine e tovagliette per uso domestico. Mi ha ricordato una delle tante donne che popolano la Macondo di Gabriel Garcia Marquez

AMINA
Mi sono piaciuti quasi tutti i personaggi ma dovendo nominarne uno ne nomino due e cioè uno per la categoria 'Alti sulle Zampe', le sorelle Traversari, esilaranti e commoventi al tempo stesso e uno per la categoria dei 'rvrnn', il cinghiale Apperbohr per l'intelligenza e sensibilità.

7. Il personaggio meno amato e perché?
PAOLANessuno, in realtà... giusto l'avvocato Barbi, con le sue “protesi caratteriali”, per ciò che rappresenta, ovvero, la corruzione.

AMINA
Degli 'Alti sulle Zampe' l'avvocato usuraio Germano, per il ruolo che gli è stato affidato, e dei cinghiali Chraww-nisst (Musolindo) perché, non avendo per sua natura capacità intellettive, a domanda risponde sempre con un'altra domanda - la stessa - e invece di suscitare in me tenerezza come accadrebbe nei confronti di una persona autistica o affetta da Alzheimer, mi ha irritato parecchio.

8. Il finale è...
PAOLA...commovente, per quanto questa parola possa significare qualcosa nel linguaggio cinghialese proposto dall'autore.

AMINA
...commovente e ha a che fare con l'amore.

9. Che ne pensi del titolo? E’ attinente?
PAOLAIl titolo fa pensare a un “romanzo di frontiera” americano, stile McCarthy. In effetti, anche qui ci sono dei confini da valicare, conquistare o affrontare: quello tra intelligenza e istinto, bestialità e umanità, ricordo e oblio, tra ciò che crediamo di conoscere e ciò che conosciamo in realtà, tra il fatto e il “si dice”.

AMINA
Ancora non mi è chiaro!

Intendo dire che non ho trovato che la trama del romanzo fosse speculare al film western a cui fa riferimento il titolo del romanzo così come non ho trovato l'intercambiabilità dei ruoli tra John Wayne (che nel film uccide Liberty Valance) e Apperbohr a meno che l'interesse dell'autore non fosse focalizzato al momento dell'epifania, che per Il personaggio interpretato da James Stewart avviene per il tramite di John Wayne nel momento in cui questi lo libera dal peso di un omicidio che credeva di aver commesso e per Apperbohr nel momento in cui, assistendo alla scena del film, viene investito anche lui da una singolare epifania, quella delle 'cose che gli cascano addosso'.

Mi piacerebbe chiederglielo all'autore visto che ho acquistato e visto anche il film.

10. Hai trovato parole che non conoscevi?
PAOLADirei di sì, ho imparato il cinghialese di Meacci!

AMINA
Tante, troppe nel senso che non mi piace leggere un libro e dover consultare spesso il vocabolario però ce l'ho fatta.

11. Ti ha ispirato un libro da leggere dopo questo?
PAOLANon un libro ma un racconto: “Colpo di pistola” ( o “Il duello”) di Puskin citato nel libro. E poi, naturalmente, la visione del film di John Ford - “L'uomo che uccise Liberty Valance”

AMINA
Sì, quel 'grido verticale' che è il De profundis di Oscar Wilde citato nel romanzo. Era già nella mia wish list e ora direi che è arrivato il momento di leggerlo.

12. A chi lo consiglieresti?
PAOLAA chi non ha pregiudizi verso la letteratura italiana contemporanea, non si spaventa della mole del libro, apprezza la sperimentazione letteraria e conosce almeno un po' la parlata toscana. Se poi si tratta di lettore nato tra gli anni '60 e '70, ancora meglio!

AMINA
Ai lettori 'forti' in senso positivo, agli Scratch Readers (chi sono? un gruppo di lettura virtuale capitanato da Maria Di Biase. Sono presenti su Facebook e su Twitter), a chi ha simpatia per le storie dove gli animali vengono umanizzati e a chi ha amato Infinite Jest di David Foster Wallace. Non certamente a chi si accosta per la prima volta alla lettura.

13. C’è una morale secondo te?
PAOLAChe la vita continua, nonostante il dolore e la morte, che tu sia un animale o un “alto sulle zampe” ( cioè, un uomo in cinghialese)

AMINA
Le parole sono importanti ma non sono in grado di spiegare il significato dell'amore e del dolore, della vita e della morte.

14. Su quale supporto lo hai letto?
PAOLACartaceo, naturalmente.

AMINA
eBook

15. Altro da aggiungere?
PAOLASi, vorrei segnalare il capitolo “17 luglio 1999”, quello incentrato sul funerale di Agnese, perché è un racconto vero e proprio, da antologia secondo me, e fornisce un'idea compiuta dello stile e del talento dell'autore.

AMINA
E di Corsignano? parliamone! La descrizione che Meacci ne fa è così particolareggiata che sembra quasi che lui la stia percorrendo mentre scrive e invece... è immaginaria. Io stavo già per proporre una gita fuori porta a mia sorella per percorre 'la Scesa di Portarossa, e poi l'Arco del Passaggio, fino al digrado ghiaioso delle Fonti, gli sdrùccioli del Ruvello, e poi ancora su, e giù, veloci, ai greti orizzontali del Nardile.'  Galeotto nella mia convinzione del contrario anche la mappa che Meacci ha messo all'inizio del romanzo in cui mischia paesi reali e immaginai.

***

Per i più curiosi
L'idea della categoria the Saba Sisters Readers me l'ha ispirata la rubrica #2VociX1Libro, di Giuditta di Tempoxme e Patrizia di Leultime20, che seguo con molto entusiasmo dalle prime pubblicazioni e grazie alla quale ho scoperto un libro che poi ho letto e che mi è piaciuto moltissimo: Io confesso di Jaume Cabré.

So che Giuditta ama le commistioni per cui non potrà che essere anche lei entusiasta di questa mia iniziativa come spero lo sarà anche Patrizia <3

Ringraziamenti
Last but not least un ringraziamento particolare al nostro amico Roberto che ha realizzato il fumetto the Saba Sisters Readers ispirato ai personaggi Funko pop.

Siamo fantastiche, Rob; grazie!
Paola & Amina

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 E ora, se ci fate sapere come è andata questa 'prima', ci farà immensamente piacere :-)

lunedì 23 maggio 2016

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

Questa settimana, in concomitanza con la Festa Titolare* della Contrada del Drago a Siena, vi racconto di Giulio Bianconi, fratello dello scultore Guido Bianconi a cui ho dedicato diversi post sulle sue sculture presenti a Siena.

Anche questa volta il materiale mi è stato fornito dal loro nipote Gianguido, preziosa fonte; non ci resta quindi che andare alla scoperta di questo senese d'altri tempi, funzionario pubblico e contradaiolo che affidò per tempo la realizzazione del suo monumento sepolcrale al fratello scultore, giustamente.
***

Sepoltura e vita di un senese d'altri tempi: Giulio Bianconi

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

Guido Bianconi realizzò un grande bassorilievo in bronzo, raffigurante una coppia di sposi teneramente abbracciati. L'epigrafe che lo sormonta è un chiaro riferimento all'amore coniugale:

Concordi le anime in vita
congiunte nell'eterna quiete le spoglie
aspettiamo
secondo la divina promessa
le albe dei cieli
che non hanno tramonti

L'opera (che si trova nella sezione S. Elena, pavimenti numero 17 e 18) è firmata e porta la data "1929" nell'angolo inferiore sinistro: accanto al nome vi è l'indicazione "da Siena", che non si ritrova in altre opere.

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

Essa venne realizzata su richiesta del fratello Giulio, che volle preparare la propria sepoltura in età ancora non troppo avanzata: ai piedi del bassorilievo si trovano infatti le lastre tombali sua e della consorte Giuseppa.

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

La fotografia del bozzetto di questo bassorilievo reca sul margine inferiore la didascalia autografa 'Sempre uniti in vita e in morte' ed a destra la firma dell'autore.

Giulio Bianconi: un senese d'altri tempi

Il funzionario comunale

Giulio e Guido Bianconi furono il primo e l'ultimo di cinque figli, fra loro separati da dieci anni.

Giulio, che non apprezzò la scelta di Guido di dedicarsi all'arte, partecipò nel 1891 ad un concorso che lo fece entrare nell'amministrazione comunale di Siena come copista di seconda classe. Dimostrò buone qualità, tanto che la sua carriera fu rapida: nel giro di tre anni divenne ufficiale d'ordine, di seconda e poi di prima classe, e dopo altri cinque anni, nel 1899, venne nominato archivista.

La promozione a capo ufficio archivista venne pochi mesi dopo a seguito del pensionamento del suo diretto superiore, che era laureato, mentre Giulio aveva solo un titolo di scuola tecnica.

Nel 1902 egli divenne capo ufficio di prima classe e due anni dopo venne infine promosso capo dell'ufficio economato.

Durante la sua carriera di economo, ed in particolare tra il 1906 ed il 1920, i sindaci che si susseguirono alla guida del Comune gli affidarono vari incarichi temporanei di particolare delicatezza. Nel 1906 fu vice-segretario alla Segreteria Generale, e nello stesso anno anche segretario cassiere della Commissione visitatrice delle carceri. Nel 1915 fu cassiere del Comitato di soccorso per i danneggiati del terremoto della Marsica, magazziniere del grano occorrente al Comune durante la guerra, direttore del servizio di pagamento dei sussidi alle famiglie dei richiamati e infine cassiere del Comitato di soccorso per i danneggiati del terremoto che aveva colpito la Lunigiana e la Garfagnana.

In tutti questi incarichi egli ebbe numerosi riconoscimenti e voti di pubblico elogio.

Tra il 1911 ed il 1912 Giulio Bianconi venne incaricato con un collega di porre rimedio allo "stato di deplorevole disordine" rilevato nell'archivio degli atti comunali. I due infatti avevano "tenuto in modo lodevolissimo l'ufficio di archivisti" prima che si originasse la situazione di crisi.

Alla conclusione dei lavori il Segretario della Giunta elogiò i risultati raggiunti, e venne deliberata una ricompensa straordinaria per il lavoro di riordinamento.

Giulio Bianconi mantenne la sua posizione all'ufficio economato fino al pensionamento, che avvenne il 1° agosto 1924.

Il contradaiolo

Oltre che zelante servitore del Comune, Giulio Bianconi fu anche appassionato partecipe alla vita della Contrada nella quale era nato, quella del Drago.

Il primo incarico fu, nel 1866, quello di scrutatore in occasione delle votazioni per il rinnovo del Seggio, ma già l'anno successivo era Revisore del Bilancio. Diede prova del suo rigore morale proponendo che le spese per l'addobbo della Contrada in occasione della prossima visita dei Reali non fossero deliberate solo dal Seggio ma da un'apposita commissione.

Giulio Bianconi venne nuovamente chiamato alla carica di Revisore del Bilancio dell’anno 1900 (nel quale il Drago conquistò la vittoria nel Palio di Provenzano, il 2 luglio).

Nel 1934 venne nominato, all’unanimità, Consigliere del Seggio, e nel 1935 un'elezione parziale lo elesse Camerlingo, scelta poi confermata alle successive elezioni generali.

Pochi mesi dopo venne chiamato a far parte di una Commissione incaricata di "ricercare il locale per conferire un Circolo Ricreativo per i Contradaioli, adatto all’uopo e della minore spesa possibile"

La carica di Camerlingo gli venne confermata nel 1936, e come tale egli fece parte della Commissione di tre membri incaricata di stabilire la cifra da consegnare al Capitano della Contrada per l’imminente Palio dell’Assunta del 16 agosto, nel quale il Drago avrebbe conquistato la vittoria. Giulio Bianconi partecipò poi all’Assemblea del 20 agosto, e venne chiamato a far parte della Commissione per la Vittoria, incaricata della "raccolta delle elargizioni Pro Palio".

Dai documenti conservati dalla Contrada risulta che egli fu iscritto tra i "protettori" per il suo contri-buto di 5 lire dal 1906 al 1912, e poi ancora nel 1935, quando abitava al numero 1 della via Sallu¬stio Bandini ed era indicato come "Cav. Giulio Bianconi": l'onorificenza gli era stata verosimil¬mente concessa per le benemerenze acquisite con il suo lavoro presso il Comune. A quanto risulta lo stemma di famiglia (numero 188) venne collocato nella Chiesa della Contrada, dove però non lo si ritrova.

Il 10 aprile 1937 il Priore informò l’Assemblea che il Camerlingo Giulio Bianconi si era dimesso "per motivi di salute".

Giulio Bianconi morì a Siena nel 1949, e conservò fino alla fine il suo atteggiamento di severa dirittura morale: i nipoti del fratello Guido, che gli fecero visita poco tempo prima, ricordano la sua ultima raccomandazione "Studiate, ragazzi, studiate!".

***

*per saperne di più Festa Titolare

lunedì 16 maggio 2016

Pablo Echaurren al Caveau delle idee a Siena

Siena: Pablo Echaurren al Caveau di Serena Fineschi

Per il progetto Caveau a Siena, la minuscola  Galleria d'Arte dove l'artista Serena Fineschi da febbraio scorso  ogni mese per un anno esporrà un'idea mai nata, troviamo questa volta l'artista Pablo Echaurren.

Confesso di non conoscere questo artista per cui vi rimando al suo sito per documentarvi come ho fatto io (qui). Ho scoperto tra l'altro che nel 2008 è stata allestita una sua mostra a Siena.

Wikipedia intanto dice che è 'pittore, fumettista e scrittore italiano'.

Mi soffermerò quindi qui soltanto sull'idea esposta da Pablo Echaurren nel Caveau del Vicolo del Coltellinaio a prescindere dalla sua produzione artistica.

E devo fare subito outing. Come mai? ora ve lo spiego.

Il giorno dopo aver visto la sua idea nel Caveau, questa volta con qualche giorno di ritardo dovuto -credo- al fatto che Serena Fineschi era impegnata in diversi progetti contemporaneamente, mi sono sentita come quel personaggio che sapeva tutto sugli animali da quanti libri aveva letto al riguardo ma che quando per la prima volta uscì di casa scambiò una formica per un elefante....

Come mai faccio questo paragone?  Prima di rispondervi date un'occhiata al 'fumetto' esposto da Pablo Echaurren.

https://www.pabloechaurren.com/

Vi riporto anche il dialogo tante volte la foto non fosse leggibile:
- Marcel: PABLO!... che mi combini?
- Pablo: sì, lo so, Marcel. L'avevo promesso, niente più ebbrezze all'acqua ragia, niente più pittura... Ma ora lo giuro BUTTO I PENNELLI!

Nell'angolo in alto a sinistra c'è poi scritto Totus tuus, Marcel

[Aperta parentesi] Un flash back inaspettato: quel 'totuus tuus' era il motto con cui Giovanni Paolo II esprimeva la propria devozione mariana. [Chiusa parentesi]

Ecco, io lì per lì ho scambiato 'Marcel' per il padre dell'artista. Ho creduto cioè che fosse riportato un dialogo immaginario o reale intercorso tra l'artista e suo padre.

Il giorno dopo, dicevo, quando sono andata su Sienafree.it, che sta seguendo il progetto di Serena, e ho scoperto chi fosse 'Marcel'  non potete capire la mia contrarietà nel non aver associato subito 'Marcel' a 'Marcel Duchamp'. Non me lo perdono, davvero.

Duchamp, quello che detestava l'arte retinica, ovvero l'arte che dà piacere all'occhio.

Ecco il senso di quel 'ora butto i pennelli' di Pablo Echaurren nel fumetto.

Non sono una storica dell'arte ma ci ho sformato lo stesso perché mi sono confrontata molteplici volte con amici sulla fatidica domanda nata dai ready-made* di Duchamp in poi e cioè 'Come si fa a riconoscere un'opera d'arte dal suo corrispettivo reale? Chi stabilisce che si tratta di un'opera d'arte e in base a quali requisiti?'.

E' il concettualismo, bellezza! mi viene da dire.

Quante discussioni sull'Orinatoio/Fontana di Duchamp...

Mi ha sempre affascinato tutto questo; ma presa dalle mie divagazioni non avevo mai prestato particolare attenzione all'immagine fisica dell'uomo Duchamp per cui nel fumetto di Pablo Echaurren non l'ho proprio riconosciuto!

[Aperta parentesi] Se vi interessa approfondire Duchamp vi consiglio il saggio La trasfigurazione del banale del filosofo statunitense Arthur C. Danto edito da Laterza. [Chiusa parentesi]

Ora vi riporto qui quanto ha detto l'artista riguardo all'idea proposta per il Caveau:

“Credo sia necessario farla finita con i pittori, con gli scultori, con i performer, con gli artisti in generale, o perlomeno bisogna farla finita col loro ego a go-go. Sulla via di Marcel Duchamp non per fare l’ennesimo ready-made o lanciare l’ennesima provocazione ma per testimoniare tutto il disgusto di un mondo così autoreferenziale da essere diventato lo specchio dell’intera società. Una società dello spettacolo con farsa finale. Bisogna ripartire da Duchamp: servirsi di Duchamp come d’una gomma per cancellare”.
da Sienafree.it

Una posizione provocatoria, sicuramente, che può essere sostenuta da chi ha cognizione di causa. Non a caso il titolo di una sua mostra attualmente in corso a Santiago del Chile è Make Art, not Money, stesso titolo di un suo post dell'anno scorso pubblicato sul suo blog su Huffington  Post dove approfondisce il concetto. Ecco il link

A noi rimane l'esperienza da fruitori che per quanto mi riguarda è sempre interessante perché è arricchita dal nostro vissuto personale che si va ad aggiunge a quello dell'artista.

In tutto questo sperando di affinare sempre di più la nostra capacità di riconoscere un'idea di valore da un bluff.

*ready-made: oggetti di uso comune elevati alla dignità di opere d'arte

Gli altri artisti che hanno esposto la loro idea nel singolare Caveau di Serena Fineschi a Siena li trovi nella categoria Caveau

lunedì 9 maggio 2016

Hopper a Bologna: la Mostra

Hopper a Bologna: mostra

Hopper a Bologna, Palazzo Fava
Fino al 24 luglio 2016

La voglia di rivedersi era nell'aria. Il gancio è stato la mostra di Hopper a Bologna visto che siamo tutte sue estimatrici.

E così due settimane fa cinque donne conosciutesi qualche anno fa grazie a Facebook si sono ritrovate a Bologna ognuna proveniente da una città diversa dell'Italia, e non; infatti una è venuta dalla Repubblica di San Marino :-)

Hopper a Bologna: prima della Mostra

La prenotazione l'avevamo fatta per le 11, che non si sa mai i treni facciano ritardo e invece quel giorno sono stati tutti puntualissimi tanto che non siamo riuscite a salutarci per bene a fine giornata perché neanche un minuto di ritardo!

Dalla Stazione Centrale di Bologna a Palazzo Fava ci vogliono quindici minuti a piedi.

Un po' di caciara  appena ci siamo riviste e poi ognuna per conto suo a visitare la Mostra, condizione implicita.

L'audio guida è inclusa nel prezzo del biglietto e quindi, perché non prenderla?

Sebbene io avessi già visto una mostra di Hopper a Roma anni fa, il giorno prima di partire sono comunque andata a rileggermi la monografia n. 174 uscita nel 2002 in allegato ad Arte & Dossier - Giunti Editore, che ho conservato, dedicata a Hopper di Orietta Rossi Pinelli.

Hopper sembra non aver vissuto momenti particolarmente drammatici nella sua vita. Non ha patito stenti per potersi dedicare alla sua passione ma anzi è stato sostenuto da subito dalla sua famiglia anche se il riconoscimento della critica e del pubblico gli è arrivato tardi.

Quindi, una biografia abbastanza lineare.

Ciò però che mi ha colpito e che ho portato con me per vedere la Mostra sono queste parole di Hopper riportate nell'inserto da me sopra citato di Art & Dossier:

'Il mio obiettivo in pittura è di usare sempre la natura come mezzo per provare a fissare sulla tela le mie reazioni più intime nei confronti dell'oggetto così come appare nel momento in cui lo amo di più [...] Perché io scelga determinati oggetti piuttosto che altri, non lo so neanch'io con precisione, ma credo che sia perché rappresentano il miglior modo per arrivare a una sintesi della mia esperienza interiore'.

Hopper a Bologna: le opere

Cioè quelle che mi sono rimaste impresse. Non ho acquistato il catalogo e non è permesso fare foto alle opere della Mostra.

Provengono tutte dal Whitney Museum of American Art di New York che, grazie al lascito della vedova  Josephine, ospita il più cospicuo nucleo dei dipinti, disegni e incisioni di Hopper.

La Mostra si apre con l'Autoritratto di Hopper realizzato nel 1903-1906.

Vi do una dritta: guardatelo posizionandovi a destra e sarete ricambiati. Cosa voglio dire? che stando davanti o a sinistra non riuscivo a cogliere niente, nessun accenno alla psicologia del personaggio. Appena ho cambiato posizione, Hopper mi ha 'parlato'.

Cosa mi ha 'detto'? di non farmi condizionare dal suo aspetto borghese nell'accezione negativa del termine e di riconoscergli la capacità di vedere la condizione umana del suo tempo, nella sua America, anche quella che sarebbe potuta sembrami lontana dalla sua.

In questa prima sala c'è già l'Hopper in  nuce, oserei dire.

Si tratta di dipinti ad olio e acqueforti che se non fosse per la didascalia che ci indica l'anno saremmo portati a pensare che si tratti già dell'Hopper che abbiamo imparato a conoscere dai poster e dai libri di storia dell'arte, quello delle architetture solitarie ma luminose, degli interni con personaggi cristallizzati in un atteggiamento, di fotogrammi che implicano una storia in cui lo spazio sembra essere sotto vuoto.

In particolare mi ha colpito questa Solitary Figure in a Theater (1902-1904).

Hopper a Bologna: Solitary Figure in a Theater (1902-1904)

Seguono poi opere realizzate dopo il ritorno di Hopper dai suoi viaggi in Europa, mai in Italia chissà come mai :-( , e che evidenziano l'influenza degli artisti da lui studiati e copiati nelle mostre, musei, gallerie e caffè che visitò.

American Village (1912) a me ha subito ricordato Boulevard di Montmartre di Pissarro, Après midi de juin or L’après midi de printemps (1907)  mi ha ricordato la tavolozza di Monet in quel colore dell'acqua, Summer Interior (1909) inconfondibilmente le donne di Degas.

Hopper a Bologna: American Village (1912)

Hopper a Bologna: Après midi de juin or L’après midi de printemps (1907)

Hopper a Bologna: Summer Interior (1909)

Il passaggio dal 'prima' a 'dopo' sancito dai viaggi di Hopper in Europa e quindi il punto di svolta della sua arte è riconosciuta nel quadro Soir Bleau (1914).

Hopper a Bologna: Soir Bleau (1914)


Degli anni '20 molto interessanti per conoscere l'evoluzione dell'arte di Hopper sono le acqueforti presenti nella Mostra.


Evening Wind, del 1921, ci svela ad esempio la vena erotica di Hopper e ricorda le donne formose di Rembrandt.

Hopepr a Bologna: Evening Wind, del 1921

Le mie amiche si sono rammaricate della mancanza di 'notturni' in questa mostra dedicata a Hopper. Direi però che l'acquaforte Night Shadows del 1921 è un privilegio poterlo vedere.

Hopper a Bologna: Night Shadows del 1921


Un'inquadratura cinematografica come diventerà molta della produzione successiva di Hopper e che ispirerà registi come Hitchcock.


Al 1921 appartiene il quadro che di questa mostra mi ha colpito di più e cioè New York Interior.

Hopepr a Bologna: New York Interior (1921)

Quel filo invisibile che tutti 'vediamo' con cui la ballerina sta rammendando il suo abito. Quel cappello che indica la presenza di qualcun'altro a meno che non faccia parte dell'abito di scena della ballerina. Quelle scapole che si cercano, i capelli divisi a metà e portati davanti scoprendo le spalle. Qualcuno che la guarda. Noi o l'altra presenza nella stanza?. Ne è consapevole lei? Vuole farsi guardare? Si vorrebbe quasi darle un colpettino sulla spalla per farla girare ma non osiamo perché è concentratissima nel suo da fare e potrebbe magari pungersi con l'ago.

Felice io poi di aver potuto vedere uno degli acquerelli con i fari, Light at Two Lights del 1927.

Hopper a Bologna: Light at Two Lights del 1927

Il faro è uno dei miei soggetti preferiti e chi frequenta questo blog lo sa già; lo era anche di Hopper!

Degli anni '30 sono Apartment houses, East River (1930), l'unico quadro che mi ha trasmesso un senso di opprimente solitudine, di tristezza. Non riuscivo proprio ad immaginare le vite delle persone all'interno.

Hopper a Bologna: Apartment houses, East River (1930)

Non mi è sembrato per niente poetico quel casermone grigio come invece High Road (1931), delizioso.

Hopper a Bologna: High Road (1931)


Ecco, questa potrebbe essere un'inquadratura da Instagram :-)


Di questo periodo è anche Cape Cod Sunset (1934) che rappresenta la casa di Hopper a Cape Cod, per l'appunto; dove decise di abitare per la luminosità del luogo.

Hopper a Bologna: Cape Cod Sunset (1934)

A me fa un po' paura questa casa, troppo isolata; ma contenti lui e la moglie Jo :-)

Si passa agli anni '40 con delle chicche a carboncino, cioè studi di opere iconiche di Hopper come ad esempio Study for Gas (1940), Study for Office at Night (1940) e Study for girl show (1941).

Hopper a Bologna: Study for Gas (1940)

Hopper a Bologna: Study for Office at Night (1940)

Hopper faceva tantissimi disegni preparatori prima della versione definitiva dell'opera.

Hopper a Bologna: Study for girl show (1941)


Di quest'ultimo, Study for girl show, ricordo di aver visto la versione finale su tela a Roma; quindi sapevo già la storia e cioè si tratta della moglie di Hopper, sessantenne.


Anche l'audio guida ha ricordato che, in un periodo in cui le cose non andavano proprio lisce con la moglie, una sera al ritorno da uno spettacolo di spogliarello Hopper chiese alla moglie di posare nuda per lui. E' così che è nato questo quadro.

Nell'ultima sala ci sono alcune delle opere in cui la luce brillante predomina come South Carolina morning (1955)Second Story sunlight (1960), l'ultima opera eseguita da Hopper.

Hopper a Bologna: South Carolina Morning (1955)

Hopper a Bologna: Second Story Sunlight (1960)

Come dice l'audio guida, in Second Story Sunlight troviamo tutti gli elementi della pittura di Hopper: l'architettura, la gente, il bosco, la luce.

La luce infatti era ciò che a Hopper interessava di più, ciò che gli garantiva la verità di ciò che vedeva e quindi la possibilità della sua rappresentazione realistica, senza fronzoli.

A proposito di quest'ultimo quadro, molta ilarità suscita nei visitatori della Mostra la possibilità di potersi fare una foto con la versione 'lumiere' di esso ed è ovviamente quello che abbiamo fatto anche noi (vedi foto di apertura del post).

Hopper a Bologna: vale la pena?

Secondo me sì.

Certo, non bisogna rimanere male se non c'è l'opera iconica di Hopper, Nighthawks del 1942, sia perché informandosi prima si  sa che non c'è e poi perché difficilmente l'Art Institute of Chicago, dove l'opera si trova, lo concede in prestito.

Hopper: Nighthawks (1942)

In compenso, se non lo avete già fatto, vi consiglio la lettura del romanzo Tre camere a Manhattan di Georges Simenon i cui protagonisti sembrano proprio i 'nottambuli' di Hopper.

Altro motivo è che con lo stesso biglietto della mostra si possono visitare anche i Musei della Città del circuito Genus Bononiae.

***

Le immagini del post, tranne quella di apertura, le ho prese dal sito Whitney Museum of American Art of New York. L'ultima, dal sito Art Institute of Chicago.

lunedì 2 maggio 2016

Siena dall'alba al tramonto

Siena dall'alba al tramonto

C'è chi ama vedere le città dall'alto, chi perdersi nei suoi vicoli, chi entrare in ogni museo e luogo di culto.

C'è anche chi ama vedere le città illuminate naturalmente e diversamente a seconda del passare delle ore.

Ecco, io In questo post mi rivolgo a questi ultimi indicando alcuni luoghi di Siena da dove poter vedere lo scorrere della giornata dall’alba al tramonto e la sera.


Alba a Siena


Non mi ero mai alzata presto la mattina per assistere all’alba.

Recentemente però ho sfidato la pigrizia e ho approfittato dell’iniziativa dell’Opera di Siena per vedere l’alba da quella finestra sospesa quale è il Facciatone del Duomo Nuovo che già da solo è pieno di suggestioni.

Alba a Siena

Ebbene, è stato bellissimo e i versi di Giuseppe Ungaretti si sono riempiti di significato.

M’illumino
d’immenso

L’alba mi ha espanso il cuore; mi ha trasmesso gioia, energia, fiducia.

Nell’arte figurativa invece l’alba per me è quella de Il sole (inizialmente intitolato Sole nascente) del 1904 di Giuseppe Pellizza da Volpedo esposto alla GNAM di Roma e che ho avuto modo di vedere qualche anno fa.

Pellizza da Volpedo: Il sole nascente

Tramonto a Siena

Il tramonto, come ho sentito spesso dire dagli americani, è uno spettacolo più ‘dramatic’ rispetto all’alba, quella drammaticità che trovo Salvatore Quasimodo abbia espresso perfettamente in questi suoi conosciutissimi versi.

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

A Siena mi piace guardare il tramonto dalla Fortezza Medicea


Tramonto a Siena

In questo periodo in cui le giornate si sono allungate la Fortezza è molto frequentata da runers e persone di ogni età che percorrono il perimetro delle mura a piedi oppure che si allenano con gli attrezzi messi a disposizione dal Comune di Siena.

Ecco, io mi siedo in una delle panchine che potremmo chiamare 'fronte tramonto' e mi piace molto vedere le loro sagome in controluce quando mi passano davanti. Tipo come la scena di E.T., avete presente? quando i ragazzini prendono le biciclette e 'cavalcano' davanti al sole? Se non ve lo ricordate o non avete visto il film, ho trovato questa immagine per farvi capire cosa intendo.

ET Mitchell Add
Poster realizzato dall'artista Mike Mitchell

Sempre dalla Fortezza si può contemplare anche l'alba sullo splendido skyline dei monumenti più rappresentativi di Siena, quando non è possibile farlo dal Facciatone.

Il tramonto con lo skyline di Siena invece è possibile ammirarlo anche dall'Orto de' Pecci, ad esempio.

In arte per me il tramonto è sinonimo di Impressionisti e quindi ad esempio di questo Tramonto sulla Senna del 1880 di Claude Monet.

Tramonto sulla Senna del 1880 di Claude Monet


Sera a Siena

La sera è avvolta dal mistero grazie alla luna. Ricordate i versi di Giamoco Leopardi

Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?

Personalmente la luna mi trasmette una grande emozione, soprattutto quando la vedo spuntare da dietro la Torre del Mangia in Piazza del Campo oppure quando apro la finestra di camera mia al mattino presto ed è ancora lì per salutarmi prima di lasciare il posto al sole.

Siena: la Torre del Mangia e la luna

In arte ricordo la commozione quando alla mostra Da Vermeer a Kandinsky del 2012 a Rimini vidi Chiaro di luna con faro, litorale toscano del 1789 di Joseph Wright of Derby.

Chiaro di luna con faro, litorale toscano del 1789 di Joseph Wright of Derby

Forse mi piacque molto anche perché oltre alla luna c’è un faro, un soggetto che a me piace molto, tanto che nella mia lista delle #100cosedafereprimadimorire al numero 44 c’è Dormire in un faro.

E nelle vostre città? Da dove si può ammirare lo scorrere della giornata?