lunedì 28 marzo 2016

Guido Bianconi a Siena: Tomba Nardi

Guido Bianconi: Tomba Nardi

Il gruppo marmoreo si trova nel Piazzale Centrale del Cimitero Monumentale della Misericordia di Siena con il numero 10, e rappresenta, come descrive l'epigrafe, il dolore della madre che piange il figlio defunto, sul quale un angelo stende il suo velo pietoso.

Un'immagine altrettanto struggente di quella della tomba di Gemma Raimondi, pur nel diverso rapporto tra le figure dolenti. Uguale è il dolore delle madri, una nel fiore della giovinezza  che accompagna nell'aldilà la figura indifesa del bambino, l'altra già in età matura che si congeda dal figlio adulto addormentato nel sonno eterno.

La capacità di Guido Bianconi di rendere nel marmo i rilievi più delicati emerge nella figura dell'angelo, che appare in un leggero bassorilievo al disopra delle due figure del figlio e della madre inginocchiata accanto a lui.

L'epigrafe, della quale non è noto l'autore, esprime tutto lo strazio della separazione:

Colei che vide la tua prima lacrima
l'ultima tua lacrima sulle labbra
or raccoglie. Ed il tuo dolore, o madre,
e la tua morte, o figlio, sotto il velo
immenso del pietoso angelo, vibran,
nel pianto, come una speranza sola.

L'opera venne collocata in sito nel mese di febbraio del 1910, e «Il Libero Cittadino» ne diede notizia con una breve segnalazione il 5 marzo.

Guido Bianconi: Tomba Nardi

Essa è firmata sul fianco destro della base, e con la firma è riportato anche l'indirizzo di via Bonsignore 9: era l'indirizzo dello studio di Leonardo Bistolfi, dove a quell'epoca Guido Bianconi ancora lavorava.

***

Gianguido, nipote di Bianconi, mi ha fatto notare quel 'cav.' prima di 'Bianconi' nell'articolo sul Libero Cittadino. Mi ha detto che l'onorificenza gli era stata assegnata motu proprio del Re su proposta del Duca di Genova che aveva assistito, il 30 maggio 1909 a Vercelli, all'inaugurazione del monumento al Re Carlo Alberto, forse l'opera più impegnativa di Bianconi.

E’ un monumento abbastanza complesso, mi fa notare Gianguido. Si tratta di un obelisco (su una delle facce un tondo con il viso del Re), poi ci sono quattro grandi bassorilievi allegorici in marmo alla base (l’eroe sul campo di battaglia – il grido di libertà dopo lo Statuto – l’abdicazione – l’anima in esilio), e agli angoli quattro aquile in bronzo, delle quali una spezza le catene e ha la data 1848).

Gli ho chiesto se avesse delle foto e lui è stato generoso come sempre.

Vercelli: Monumento a Carlo Alberto di Guido Bianconi

Vercelli: Monumento a Carlo Alberto di Guido Bianconi

Vercelli: Monumento a Carlo Alberto di Guido Bianconi

Vercelli: Monumento a Carlo Alberto di Guido Bianconi

Vercelli: Monumento a Carlo Alberto di Guido Bianconi

Nella penultima immagine ritrovo l'impronta di Bianconi, quella che sto imparando a riconoscere grazie a Gianguido. Non sembra anche a voi, ad esempio, in quella figura che sfiora la guancia? Mi ha ricordato anche la composizione della Tomba di Ida Gianni.

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Bibliografia:
Memorie di famiglia e fotografie, tranne quella che apre il post, di Gianguido, nipote di Guido Bianconi.

lunedì 21 marzo 2016

Ex Convento di Santa Marta a Siena

Ex Convento di Santa Marta a Siena: Esequie di Santa Marta

In Via San Marco 90, a Siena, si trova l’Ex- Convento di Santa Marta oggi sede dell’Archivio Storico del Comune di Siena, sede dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età Contemporanea e in parte adibito ad abitazioni di proprietà del Comune in affitto a privati.

Ex Convento di Santa Marta a Siena

Il Convento fu fondato nel 1329 da Milla de’ Conti d’Elci nobildonna che, rimasta vedova, decise di edificare un convento di clausura femminile dedicato a Santa Marta che seguisse la regola di Sant’Agostino.


Inizialmente il Convento accoglieva solo vedove, successivamente solo vergini; in ogni caso benestanti.

Milla morì nel  1348 ma la famiglia continuò a mantenere il controllo del Convento.

Nel 1810, in seguito agli editti napoleonici, il Convento venne soppresso e adibito a carcere. Successivamente, anche se per poco, ospitò i malati di mente che poi furono trasferiti al Manicomio di  San Niccolò.

Nel 1814 diventò un orfanatrofio e rimase tale fino al 1975 quando diventò il Collegio San Marco.

Nel 1983 il complesso divenne di proprietà del Comune di Siena e nel 1986 iniziarono i lavori di restauro.

Il Convento di Santa Marta godeva di buona fama tanto che le sue ospiti venivano da tutta Italia.

Del Convento è rimasto:

- gli affreschi monocromi recuperati del chiostro risalenti al XIV e XV secolo, danneggiati dall’aggiunta delle attuali volte a crociera nel Cinquecento, con storie della vita di San Girolamo e storie di vita eremitica. Come mai monocromi? sembra essere una scelta 'propagandistica' dell'Ordine agostiniano, 'dell'osservanza regolare contro il mondo della sensualità.'

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro

- gli affreschi recuperati  della prima Chiesa con soggetti vari diventata poi coro-sagrestia della Chiesa nuova risalenti al terzo decennio del XIV secolo e il primo decennio del XV secolo;

Ex Convento di Santa Marta a Siena: coro e sagrestia

- gli affreschi  nella Chiesa cinquecentesca, con ingresso da Via San Marco, con storie della vita di Santa Marta;

Ex Convento di Santa Marta a Siena: Chiesa cinquecentesca

- il Cenacolo del 1522 di Giacomo Pacchiarotti riscoperto solo nel 2004;

Ex Convento di Santa Marta a Siena: il Cenacolo di Giacomo Pacchiarotti

Per questo post ho scelto di condividere con voi le scene del Chiostro che si presentano in maniera ‘compiuta’, almeno nel disegno, e che dal punto di vista iconografico sono state identificate abbastanza come documenta la pubblicazione che ho consultato: Gli affreschi medievali in Santa Marta a Siena di Maria Corsi - Edizioni Cantagalli.

Come mai ho scelto il Chiostro?  perché sono gli affreschi che si possono vedere sempre e perché mi affascina il fatto che questi affreschi monocromi siano stati riscoperti solo nel 1988-1989 in quanto le pareti erano imbiancate… Mi affascina e mi conferma che forse Sapìa tanto torto quando disse dei senesi  ‘gente vana’ non ne aveva.

Comunque, tornando a noi. Le pareti riscoperte sono due, quella davanti a noi quando si entra e quella a destra. Tra le due però solo quella davanti a noi con scene di vita eremitica è abbastanza leggibile mentre l’altra parete con storie della vita di San Girolamo è molto rovinata per cui mi soffermerò sulla prima.

La fonte letteraria di molte di queste scene è stata identificata nel volgarizzamento delle Vitae Patrum(*) del Cavalca che ebbe ampia diffusione già nel XIV secolo.

Si tratta di singole scene di vita eremitica, fatta di preghiera e privazioni, in qualche modo simile alla vita contemplativa delle monache di clausura e forse è proprio per questo che troviamo rappresentate anche delle monache, cosa non comune nelle raffigurazioni delle Tebaidi. Quasi la riproduzione di un 'deserto domestico' come ha detto la nostra guida Cecilia Mostardini durante la visita fatta grazie al FAI.

L’identificazione più diffusa dell’autore di questi affreschi  è di Boskovits che nel 1980 li attribuì a Benedetto di Bindo.

Affreschi monocromi del chiostro con scene di vita eremitica

A questo punto addentriamoci  nell’osservazione delle scene eremitiche del Chiostro di Santa Marta partendo dalla lunetta più vicina all’ingresso.

PRIMA LUNETTA
- frammento non identificato

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affresco monocromo

SECONDA LUNETTA

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- in alto a sinistra: Una monaca (non identificata) con aureola schiaccia una figura diabolica

- in basso a sinistra: Tre monaci seduti a terra in conversazione e in mezzo a loro una bestia.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

Scena identificabile con un episodio riportato nel volgarizzamento del Cavalca nel quale si racconta di un Padre, in grado di vedere cose che non a tutti era dato di vedere, che si accorse che quando dei Frati stavano insieme e conversavano delle cose di Dio gli angeli erano in loro compagnia; quando invece parlavano di cose vane, dei  porci sostituivano gli angeli. Si tratta quindi di un ammonimento a non parlare di cose oziose poiché è l’anima a rimetterci;

- in alto a destra: Giovane monaco (non identificato) con pisside;
- in basso a destra: L’angelo e l’eremita che con una mano si chiude il naso. Davanti a loro, disteso in terra, un cadavere coperto da delle frasche. Questa scena è collegata a quella in basso a sinistra della successiva lunetta.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

TERZA LUNETTA

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- in basso a sinistra:  L’eremita e l’angelo che con una mano si chiude il naso. Davanti a loro un giovane cavaliere evidentemente di estrazione sociale agiata. Forse si tratta di una battuta di caccia per via del cane che lo accompagna. A me ci è voluto un po' per individuare il cane. Voi lo vedete?

Nella volgarizzazione del Cavalca si racconta di un eremita accompagnato da due angeli che mentre cammina trova un cadavere. L’eremita si chiude subito il naso per l’odore e, vedendo che anche gli angeli lo fanno, gli domanda non senza un senso di meraviglia se sentono anche loro la puzza. La meraviglia nasce dal fatto che sono angeli quindi non dovrebbero 'sentire'. Loro gli rispondono di no ma che si chiudono il naso per fargli compagnia e che comunque se è vero che loro non sentono il puzzo dei cadaveri  sentono invece il puzzo delle anime peccatrici. Forse quella del cavaliere?

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

A me comunque è piaciuto molto questo cavaliere gotico internazionale tipo Gentile da Fabriano. Avete presente, no? L'adorazione dei Magi che si trova agli Uffizi, per esempio.

Gentile da Fabriano: Adorazione dei Magi
Foto credits: wikimedia.org

- in alto a sinistra: La tentazione di Apellen. Racconta la fonte che una notte, mentre il monaco Apellen era intento a lavorare il ferro, una donna sotto diaboliche spoglie (gli artigli neri al posto dei piedi ) si presentò a lui e lui non appena se ne accorse le percosse il volto con il ferro caldo. L’ammonizione è quindi quella di essere sempre pronti a respingere la tentazione. Accanto a questa scena si vede un monaco in riva al mare che legge.

- nella metà destra della lunetta dalla prima a sinistra ci sono scene che raffigurano esempi di carità del beato Serapione. La fonte narra di (1)Serapione che dà  il suo mantello ad un povero; (2)Serapione che, spogliato della tonaca per darla ad un altro moribondo, a colui che gli domanda chi l’avesse spogliato gli porge il Vangelo e glielo vende per seguire  l’invito contenuto in esso e cioè di dare via i propri averi e dare tutto ai poveri in cambio della vita eterna al punto di - ed è l’ultima scena rappresentata - (3)arrivare a ‘vendere’ anche se stesso a dei Pagani per poter aiutare una vedova povera con figli.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

TRA LA TERZA E QUARTA LUNETTA

Scene non identificate e testimonianza di come i lavori cinquecenteschi che hanno sostituito il soffitto a cassettoni con le volte hanno fatto più danno che bene interrompendo la narrazione.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

QUARTA LUNETTA


Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- al centro: Cristo morto tra due angeli risalente alla metà del XVI secolo. Non di Benedetto del Bindo, chiaramente. Forse l'autore è una monaca pittrice? Chissà!

- in alto a destra: Pranzo di sant’Atonio Abate e san Paolo primo eremita. Si tratta della prima scena degli episodi dell’incontro tra san Paolo primo eremita e sant’Antonio Abate che si svolgeranno nella quarta lunetta. Sant'Antonio Abate pensava di essere il primo eremita in assoluto e si compiaceva di questo primato finché Dio non lo raggiunse durante il sonno comunicandogli che c'era un eremita più anziano di lui, quindi capostipite degli eremiti, e che doveva andare a conoscerlo. E' per questo che nelle rappresentazioni delle Tebaide la presenza di san Paolo e sant'Antonio Abate è ricorrente.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- in basso a destra: Morte di san Paolo primo eremita sopraggiunta mentre egli pregava.

TRA LA QUARTA E LA QUINTA LUNETTA

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- Sepoltura di san Paolo primo eremita. Ai piedi del santo si intravede la presenza di un leone. Si racconta infatti che dei leoni vennero in soccorso a sant’Antonio abate per aiutarlo nella sepoltura.

Maria Corsi ci fa notare l’abito tipico di san Paolo primo eremita intessuto con foglie di palma intrecciata.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

QUINTA LUNETTA

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- in alto al centro: Il martirio di Potemia. Bisogna aguzzare la vista per vedere le sagome ma se ci si impegna si riescono a distinguere due aguzzini, uno a destra intento a ravvivare il fuoco sotto ad un grosso pentolone, l’altro a sinistra che tira una fune cui è legata una vergine martire identificata con la Potemia del volgarizzamento del Cavalca.


Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

Una giovane vergine indotta a cedere ai piaceri della carne da colui presso il quale svolge i suoi servigi di ancella si rifiuta e questi indignato va dalle autorità e la accusa di biasimare le persecuzioni, lei cristiana. Ma non solo, promette denaro al Procuratore se riesce a convincere Potemia a cedere alle sue lusinghe ma se ciò non accadesse chiede che venga sottoposta ai peggiori tormenti ché lui non potrebbe sopportare una tale onta. Potemia eroicamente chiede addirittura al suo aguzzino di farla scendere piano piano dentro il pentolone per prolungare il martirio, dimostrare la sua pazienza a Dio e meritare la vita eterna.

- Il monaco premiato per la sua obbedienza

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

Colpiscono subito quelle sette corone sopra il capo del monaco inginocchiato a braccia conserte. Si tratta di un esempio di obbedienza e di vittoria sulla tentazione, anche quella più insignificante come può essere quella di vincere la battaglia contro il sonno. E' quello che è accaduto per ben sette volte a questo monaco durante una delle notti in cui solitamente si recava dal suo superiore per approfondire la conoscenza della dottrina. Quest'ultimo, durante la lezione, si era addormentato e il monaco non  essendo stato congedato formalmente rimase lì tutta la notte finché non lo vide sveglio. Il suo superiore venne a sapere da Dio, durante il sonno, di questa 'battaglia vinta' e quindi premiò il monaco;

- in alto a destra: Le due monache suicide. Esempio delle conseguenze della disobbedienza e quindi monito al rispetto della regola.  Una rappresentazione che fa stringere il cuore, almeno il mio.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

La fonte narra che due Monasteri, uno di monache uno di frati, erano separati da un fiume. Nessun contatto quindi doveva esserci tra frati e monache. Una volta accadde che un 'secolare cucitore di panni', quindi un sarto presumo, attraversasse il fiume e chiedesse ad una giovane monaca se avessero bisogno dei suoi servigi. La monaca rispose che avevano già chi tra di loro si occupava di queste cose. E, diremmo noi oggi, fine del discorso. Solo che un'altra monaca aveva visto la monaca parlare con uno uomo e aveva sparlato di lei nel Monastero. Al che la monaca, non sopportando le calunnie, si buttò nel fiume. A questa scena assistette la monaca che l’aveva infamata e quindi presa dal rimorso si impiccò. Per tale doppio misfatto tutte le monache che avevano alimentato la calunnia furono private del sacramento della comunione per sette anni.

- in basso a destra: La monaca che mangiò il cavolo che nascondeva un demone

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

Nello Studio iconografico fatto da Maria Corsi sugli affreschi del Convento di Santa Marta ho letto che la fonte che ha permesso di identificare questo episodio è il testo conosciuto con il nome di Conti morali di un anonimo senese. In esso infatti si racconta di una monaca badessa dedita sempre a fare del bene che fu proprio per questo presa di mira dal diavolo il quale si nascose in un cavolo che la monaca raccolse dall'orto per mangiarlo senza prima essersi fatta il segno della croce. Da quel momento la monaca andò fuori di senno finché il cappellano non la fece comunicare e il diavolo uscì dal suo corpo. Grata a Dio che era intervenuto per liberarla dal diavolo la monaca si mise a fare molta penitenza. La morale è che bisogna fare attenzione ai peccati di gola. Mi ha ricordato Dante e i suoi golosi...

SESTA LUNETTA

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- in alto a sinistra: L’eremita che dà da mangiare ad una lupa. La lupa non si vede ma narra la fonte di un eremita che aveva fatto amicizia con una lupa con cui tutti i giorni condivideva il proprio pasto;

- in alto a destra una scena non identificata che forse ha a che fare con le regole alimentari. Colpisce infatti il contrasto tra il monaco sotto le coperte, forse perché malato, che rifiuta con un gesto inequivocabile di disprezzo il cibo che gli viene offerto e sulla sinistra, oltre la colonna, un monaco che sta mangiando il coscio dell'animale che si trova ai suoi piedi. Accanto ai monaci che gli offrono il cibo ce n’è uno più anziano con il braccio teso verso il ’malato’ in atteggiamento ammonitore. A destra ancora un monaco in ginocchio quindi forse in preghiera.

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

In mancanza di fonti, Maria Corsi ipotizza che le tre scene siano in sequenza e che il protagonista sia sempre lo stesso monaco. Abbiamo quindi l’infrazione del monaco che mangia la carne vietata; la punizione, probabilmente una malattia, e il rimprovero dell’anziano monaco; quindi la richiesta di perdono, da vedere nell’uomo inginocchiato in preghiera nell’altra estremità.

- in basso a sinistra: Il monaco che ridona la vista a dei leoncini ciechi;

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

- in basso a destra ancora scene di eremiti in relazione ad animali che popolavano i deserti.


Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica


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Fine del percorso. Vi ricordo che questi affreschi sono sempre visibili quindi se vi trovate a Siena e volete vedere qualcosa che vada oltre il solito percorso, sapete dove andare.

Prima di andare via dal Convento di Santa Marta mi sono fermata un attimo fuori dal Chiostro. Eccolo qui!

Ex Convento di Santa Marta a Siena: chiostro affreschi monocromi con scene di vita eremitica

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(*) Vitae Patrum: vasto ed eterogeneo insieme di scritti risalenti ai primi secoli del cristianesimo che ebbe un continuo e profondo influsso sulla spiritualità medievale.

lunedì 14 marzo 2016

Caveau a Siena di Serena Fineschi

'Caveau' di Serena Fineschi a Siena

A Siena nel Vicolo del Coltellinaio una piccola edicola incastonata nelle mura antiche di un palazzo del centro storico (le vedete quelle due ragazze nell'angolo? ecco, proprio lì è) ospita dal 25 febbraio 2016 ogni mese per un anno:
'Caveau' -  idee mai nate.

Si tratta di una galleria d'arte sui generis, diciamo così. Maggiori informazioni le trovate qui.

Al termine dell'operazione l'artista Serena Fineschi, autrice di questa singolare installazione di arte contemporanea, svelerà il filo rosso che lega queste idee attraverso una mostra e una pubblicazione editoriale.

Nell'attesa su My Day Worth io pubblicherò ogni mese l'idea esposta con le suggestioni che mi ha trasmesso.

Non subito però, perché non voglio togliere il piacere della scoperta ai senesi in primis ma anche a tutte le persone che capiteranno a Siena di passaggio. Diciamo a metà tra un idea e l'altra in modo da poter scambiare le impressioni, con chi lo vorrà, qui o nella pagina Facebook (collegamento qui)

Siccome sono già passati quasi venti giorni dalla prima idea, eccomi qui a relazionarvi.

Siete pronti? si comincia!

FEBBRAIO 2016 idea proposta da MARINA DACCI, direttore della Collezione Maramotti, una collezione di arte contemporanea aperta al pubblico dal 2007 a Reggio Emilia.

'Caveau' di Serena Fineschi a Siena

Chiudi gli occhi e immagina... (*)

E' stato per me un colpo al cuore il pensiero di Marina Dacci

Come mai? perché ci ho trovato cose che mi stanno accompagnando in questo periodo: il silenzio, il giardino, l'ascolto.

Il silenzio perché tra qualche mese farò un'esperienza singolare, un corso di meditazione Vipassana della durata di dieci giorni che prevede l'osservanza del Nobile Silenzio. Sì, avete intuito bene, per dieci giorni non proferirò alcuna parola. Ma di questo ve ne parlerò a tempo debito, dopo aver fatto l'esperienza. Ora, anche se mi ci sto già cimentando da autodidatta, rischierei di essere noiosamente teorica.

Il giardino perché è stato il tema del ritiro di Yoga dello scorso settembre. Attraverso un gioco che prevedeva di scrivere su un foglio e in maniera anonima una qualità che vedevamo in ogni partecipante, l'ultimo giorno l'insegnante ha raccolto quanto avevamo scritto e ha inserito  in maniera creativa, all'interno dei petali di due fiori disegnati in un foglio per ciascuno di noi, tutte le 'qualità' che gli altri ci avevano attribuito.

Il gioco ovviamente non finiva lì. Siamo stati invitati dall'insegnante ad esporre i nostri 'fiori' in qualche angolo di casa, ben visibile almeno per noi, in modo da rafforzare o renderci cosapevoli delle nostre qualità e continuare a coltivarle. In questo modo avremmo sicuramente distolto la  nostra attenzione dalle negatività arrivando magari con il tempo ad eliminarle naturalmente come quando si smette di annaffiare una pianta.

L'ascolto è un'attitudine che ho deciso di coltivare maggiormente, anche al lavoro, perché mi offre la possibilità di allenarmi ad abbandonare l'abitudine alla reazione e quindi ad agire con consapevolezza ed equanimità; cosa non facile ad esempio quando trovo qualcuno che si comporta in un modo che non mi piace.

Il pensiero di Marina Dacci è un percorso sensoriale dove il senso apparentemente assente, quello del gusto, è forse sottinteso da quel  'giardino' che ho immaginato con delle piante anche da frutto. Gli altri sensi invece sono sollecitati in maniera esplicita.

Ad esempio quando ho letto quel 'Chiudi gli occhi e tocca le superfici screpolate dei muri' ho inevitabilmente toccato il muro che avevo davanti. Mi sono sentita un po' bambina.

Mentre invece 'le foglie pungenti e polpose' lì per lì non ho capito a cosa si riferissero. Scambiando poi un primo parere con una persona che mi segue su Facebook, Anna Mattii, ho saputo che si riferisce ai cactus. Non ci sarei mai arrivata! Infatti ho detto ad Anna che forse è perché non ho un giardino 'reale' in senso fisico :-)

***

Siccome mi piacerà anche venire a conoscenza e condividere con voi il pensiero di ogni autore sull'idea proposta, comincio subito riportando quanto detto da Marina Dacci sul suo contributo.

"L’immagine è quella di un giardino inviolato dove tutto è possibile, una linea, un percorso da perseguire nella propria vita. E’ un pensiero che qualcuno potrebbe raccogliere per un momento di riflessione e, magari, fare proprio. Credo che non a caso Serena Fineschi abbia deciso di aprire Caveau con questo piccolo contributo, perché forse rappresenta un prologo alla sua idea progettuale”. Tratto da sienafree.it

***

Gli altri artisti che hanno esposto la loro idea nel singolare Caveau di Serena Fineschi a Siena li trovi nella categoria Caveau

***

(*) Chiudi gli occhi e immagina.
chiudi gli occhi e respira:
Senti il profumo degli incensi
e dell'aria calda.
Chiudi gli occhi e tocca
le superfici screpolate dei muri,
le foglie polpose e pungenti.
Chiudi gli occhi e senti
il fruscio delle tende nel silenzio.
Spalancali ora.
La tua luce e l'ombra si mescolano
nel giardino segreto:
dove puoi scivolare con gli occhi
dentro mille superfici, mille anfratti.
Silenzio.
Il giardino è inviolato
è il tuo giardino.
Puoi lasciarlo (?) fluire
la carezza delle emozioni,
le malinconie, i sussulti,
i tremori, i nodi (?) assoluti.
Senza paura.
Il giardino è dentro di te.

(*Dedicato a Isa
e a tutti quelli che hanno
la pazienza di ascoltare...)

NOTA: i punti interrogativi indicano le parole di cui non sono sicura perché la scrittura non era chiara.

lunedì 7 marzo 2016

Siena e la Divina Commedia: Sapìa

Siena e la Divina Commedia: abitazione di Sapìa a Siena

Se la dolente Pia de' Tolomei raccontandoci di se in due terzine e un verso a conclusione del canto V dell'Inferno ci conquista subito e per sempre; l'esuberante Sapìa, protagonista assoluta del canto XIII del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri, fa un po' fatica, secondo me, a conquistarci senza riserve se non si hanno le informazioni biografiche necessarie.

Personalmente ho dovuto rileggere più volte questo Canto e alla fine be, devo dire che anche Sapìa mi ha fatto tenerezza.

Ci troviamo nella seconda cornice del monte del Purgatorio dove scontano la loro pena le anime degli invidiosi, quelli cioè che perseguono un 'malo obiettivo'.

Vestiti con abiti grezzi, gli invidiosi appaiono a Dante e Virgilio nello stesso atteggiamento con cui i mendicanti ciechi se ne stanno davanti alle chiese per chiedere l'elemosina: seduti uno accanto all'altro, appoggiati al muro, con il capo abbandonato sulla spalla dell'altro per suscitare maggiore pietà nella gente.

Come mai questo paragone con i mendicanti 'ciechi'? Perché le anime degli invidiosi hanno gli occhi chiusi, cuciti da fil di ferro e così serrati che le lacrime scorrono bagnando le loro guance. Neanche Dario Argento ha mai osato tanto! o forse sì?

Comunque, non so voi; ma io quando ho letto ch'a tutti un fil di ferro i cigli fora/e cuce sì, come a sparvier selvaggio/ si fa però che queto non dimora (vv 70-72) ho avuto la stessa sensazione che mi procura la vista dei piercing e cioè provo io dolore fisico per l'altro.

E però la legge del contrappasso qui è applicata in maniera impeccabile. Infatti 'gli occhi degli invidiosi che in vita godettero nell'osservare il dolore altrui, sono ora chiusi alla luce del ciel: una cecità fisica che dipende da quella cecità morale per cui essi capovolsero la visione del mondo e delle cose, sostituendo all'amore verso il prossimo il desiderio del suo male.' (Tratto da: Divina Commedia di Dante Alighieri a cura di Emilio Alessandro Panaitescu Gruppo Editoriale Fabbri)

Dante come al solito interpella le anime ed è Sapìa a rispondere, l'anima che volge il mento all'insù, come fanno i ciechi quando sentono una voce:

"Io fui Sanese" rispuose, "e con questi
altri rimondo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti.

Savia non fui, avvegna che Sapia
fossi chiamata, e fui delli altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.(Una targa posta in cima a Via Vallerozzi, nell'abitazione a Siena che fu di Sapìa, ricorda questi versi)

E perché tu non creda ch'io t'inganni,
odi s'i' fui, com'io ti dico, folle,
già discendendo l'arco di miei anni.

Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co' loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.

Rotti fuor quivi e volli nelli amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,

tanto ch'io volsi in su l'ardita faccia.
gridando a Dio "Omai più non ti temo!"
come fe' il merlo per poca bonaccia.
vv 106 - 123

Da questi versi capiamo che si tratta di una donna che dice pane al pane e vino al vino senza cercare di giustificarsi altrimenti non si sarebbe autodefinita folle.

Sapìa, zia di Provenzano Salvani e moglie di Guinibaldo Saracini, abitava con il marito a Castelghinibaldi, all'incrocio tra Firenze e Colle, oggi Castiglionalto di Monteriggioni. Insieme a lui si dedicò a opere religiose e di pietà fondando anche un Ospedale. Fu proprio da Castelghinibaldi che Sapìa nel 1269, anno della Battaglia di Colle, vide i suoi concittadini in fuga verso Siena e se ne compiacque.

Come mai se ne compiacque? a questa domanda non avevo trovato risposta quando ho letto la Divina Commedia l'anno scorso e forse è per questo che ho tardato un po' a scrivere questo post.

La risposta l'ho trovata qualche giorno fa nella ristampa di Dante a Siena di Pietro Rossi - Betti Editrice.

Scrive Pietro Rossi, infatti: "Poiché rileviamo che Ghinibaldo deve essere venuto a morte nel 1268, proprio nell'epoca nella quale le sue terre come tutte quelle del contado di Colle erano corse dall'invasione dell'esercito senese, e fatte segno alle fiere rappresaglie di Provenzano Salvani, ed è quasi lecito supporre che sia morto a causa di quella guerra, si possono ritrovare in questi avvenimenti i motivi dell'odio di Sapìa contro i ghibellini senesi e colui che ne era il conduttore ed il capo; e si può capire la sua esultanza quando l'esercito Sanese l'anno di poi fu sconfitto a Colle, e Provenzano fu ucciso."

Quindi fu per amore che Sapìa si compiacque della sconfitta dei suoi concittadini. O no? E in quel 'discendendo l'arco di miei anni' sembra quasi che quell'unica volta Sapìa si sia lasciata andare all'invidia. Della serie 'anche i ricchi piangono', per dire.

Di questo peccato Sapìa si pentì in fin di vita; ma a risparmiarle l'Antipurgatorio furono le preghiere di suffragio di Pier Pettinaio.

Siena e la Divina Commedia: targa nel Vicolo Pier Pettinaio

Il fatto che Sapìa se ne rammenti rende omaggio alla sua equanimità.

Pier Pettinaio fu un terziario francescano che vendeva pettini e che morì più che centenario nel 1289 in fama di santità. Era così umile che quando veniva al mercato nel Campo a vendere i suoi pettini si racconta che arrivasse poco prima della chiusura per non rubare clienti agli altri banchi.

Sapìa è una donna dai sentimenti forti, propri dell'animo toscano; quindi è ironica, schietta, sanguigna.

Sapìa chiede a Dante preghiere in suffragio ma anche di ripristinare la sua fama tra i suoi parenti, che Dante potrà rintracciare in quella 'gente vana', i senesi.

Io credo che solo un senese possa dire dei senesi che è 'gente vana' senza temere per la sua incolumità; chè se lo dicessero altri... Come le mamme con i propri figli. Provate a dire ad una mamma che suo figlio è un po' maleducato e vedrete... lei però può dire quello e altro :-)

Siena e la Divina Commedia: targa in Via della Diana

Per completezza d'informazione, come mai l'appellativo di 'gente vana'? per aver i senesi acquistato a caro prezzo la località di Talamone sperando di farne un buon porto per uno sbocco sul Tirreno - cosa che non si verificò per il luogo malsano, la cattiva posizione e l'eccesso di lontananza da Siena - e per la ricerca lunga e dispendiosa ma senza risultato di un fiume chiamato Diana che si diceva scorresse sotto la città.