lunedì 29 giugno 2015

The Blacklist e il Palio di Siena

Siena: prova del 29 giugno 2013

"Hai mai navigato nell'oceano Donald, su una barca a vela circondato dal mare, senza vedere la terra ferma, senza la minima possibilità di avvistare la terra per giorni e giorni, stare al timone del proprio destino, vorrei farlo ancora, almeno un'altra volta, voglio essere in piazza del campo a Siena e sentire l'impeto dei 10 cavalli da corsa che galoppano, voglio cenare di nuovo a Parigi a L'Ambroisie a Place des Vosges, voglio un'altra bottiglia di vino e un'altra ancora, voglio il calore di una bellissima donna sotto le lenzuola e un'altra serata di jazz al Vanguard, voglio stare sulla cima dei monti e fumare sigari cubani sentendo il sole in faccia il più a lungo possibile, camminare di nuovo su un muretto, scalare una torre, attraversare un fiume, ammirare degli affreschi, voglio sedermi in giardino a legger un altro bel libro, ma soprattutto voglio dormire, dormire come facevo quando ero bambino, voglio questo ancora una volta. Ecco perché non permetterò che quel pazzo lì fuori si porti via la mia vita, e di certo non adesso."

Ebbene sì, tutti hanno le loro #100cosedafareprimadimorire o giù di lì, compreso Raymond Reddington, il pericoloso criminale protagonista della serie americana The Blacklist interpretato dal bravisismo James Spader.

Credo che ogni senese e ogni appassionato del Palio di Siena abbia sussultato sulla poltrona quando ha sentito quel "voglio essere in piazza del campo a Siena e sentire l'impeto dei 10 cavalli da corsa che galoppano."  Io personalmente ho provato i brividi.

Oggi è il primo giorno del Palio di Siena del 2 luglio 2015 e come ogni 29 giugno verso le 13 ci sarà la 'tratta' (assegnazione dei cavalli) e alle 19.45 la prima delle sei prove prima della carriera del 2 luglio e questa citazione mi sembra più che pertinente per descrivere l'attesa.

Ecco la versione originale del monologo di Red:

"Have you ever sailed across an ocean, Donald? On a sail boat surrounded by sea with no land in sight. Without even the possibility of sighting land for days to come. To stand at the helm of your destiny. I want that, one more time. I want to be in the Piazza Del Campo in Sienna. To feel the surge as ten race horses go thundering by. I want another meal in Paris, at L'Ambroisie in the Place Des Vosges. I want another bottle of wine. And then another. I want the warmth of a women in the cool set of sheets. One more night of jazz at the Vanguard. I want to stand on summits and smoke cubans and feel the sun on my face for as long as I can. Walk on the wall again. Climb the tower. Ride the river. Stare at the frescoes. I want to sit in the garden and read one more good book. Most of all I want to sleep. I want to sleep like I slept when I was a boy. Give me that. Just one time. That's why I won't allow that punk out there to get the best of me, let alone the last of me."

lunedì 22 giugno 2015

#SienaFrancigena: trekking urbano

#SienaFrancigena: Porta Camollia

Ho partecipato al trekking urbano #SienaFrancigena nel centro storico di Siena da Porta Camollia a Porta Romana passando per l'antico Ospedale Santa Maria della Scala.

Si tratta di un progetto proposto dall'assessorato alle politiche per il turismo del Comune di Siena per fare 'un tuffo nel passato calandosi nei ‘panni’ di antichi pellegrini'.

Un modo diverso di visitare Siena partendo dall'antico Borgo di Camollia.

Grazie alla nostra guida Agnese ho scoperto che...

La via Francigena come la intendiamo noi oggi non esisteva a differenza del Grand Tour che veniva chiamato così proprio dai suoi contemporanei.

La via Francigena era una rete viaria per cui ognuno poteva scegliere un itinerario piuttosto che un altro a seconda delle proprie necessità che non erano solamente di espiazione ma anche di trasporto merci.

A Siena si presume che i viandanti che arrivavano da Nord entrassero dal luogo dove oggi c'è Porta Camollia, costruita nel 'Seicento; quelli che arrivavano da Sud invece da Porta Romana.

La via Francigena prende questo nome dai franchi che l'hanno usata per molto tempo durante le Crociate; ma i primi a percorrerla furono i longobardi.

#SienaFrancigena: Chiesa San Pietro alla Magione

Il diario del viaggio che l'arcivescovo Sigerico fece nel 990 da Roma, dove era stato investito da papa, a Canterbury divenne il primo riferimento per le tappe della via Francigena.

Sappiamo che la zona intorno alla via Francigena era puntellata da ospizi-ospedali in quanto il percorso era impegnativo perché le strade non erano più quelle selciate d'epoca romana. Erano tortuose e talvolta i viandanti si trovavano anche a dover attraversare dei fiumi con dei guadi. C'era bisogno quindi degli ospizi-ospedali che accoglievano i viandanti e gli davano le cose primarie: un tetto dove ripararsi, un giaciglio dove riposarsi e anche qualcosa dove mangiare e bere dopo giornate di stenti.

Gli ospizi-ospedali erano strutture piccole ed è per questo che erano così tante. Ad esempio nella Val d'Elsa ce n'erano decine; una ciquantina da Monteriggioni arrivando a San Quirico. Arrivando a Siena ce n'erano circa una trentina.

#SienaFrancigena: Chiesa Santissima Annunziata

Nel 1348 per via della peste nera il passaggio da Siena dei viandanti si affievolì. La cultura del viaggio riprese con il Grand Tour, una via di pellegrinaggio moderna di cui Siena diventa una tappa principale.  Il Grand Tour veniva intrapreso dai giovani e definiva il passaggio all'età adulta. Il boom si ebbe nell'Settecento ma già nel 1581 troviamo la testimonianza del passaggio di Michel de Montaigne a Siena che nel suo diario scrive:

21-24 settembre 1581
Siena, 12 miglia

"A me pare che fusse più freddo il cielo in questa stagione in Italia ch'in Francia. La piazza di Siena è la più bella che si veda in nissuna altra città. Si dice in quella ogni giorno la messa in un altare al pubblico, al quale d'ogni intorno riguardano le case e botteghe, in modo che gli artefici e tutto questo popolo, senza abbandonare le loro faccende e partirsi del loco loro, la possono sentire. E quando si fa l'elevazione, si fa tocca una trombetta acciò ch'ognuno avvertisca. Al 24 di settembre, la domenica dopo desinare, partimmo di Siena. Et avendo seguito una strada speditevole, comeché un poco inuguale (quel paese essendo montuoso di colline fertili e monti non alpestri) giunsimo a San Quirico d'Orcia."

Tratto da Michel de Montaigne, Viaggio in Italia, dei classici BUR Rizzoli.

Le tappe che formano il percorso #SienaFrancigena si trovano lungo Via Camollia, Via dei Montanini, Banchi di Sopra, Via di Città, Piazza Duomo, Via dei Pellegrini, Piazza del Campo, Via del Porrione, Via Roma fino ad arrivare all'Orto de' Pecci per un momento conviviale.

#SienaFrancigena: Orto de Pecci

Al di là dei luoghi di culto (Chiesa di San Pietro alla Magione, Chiesa di Fontegiusta, Chiesa di Sant'Andrea, Oratorio di Sant'Onofrio, Chiesa della Santissima Annunziata, Chiesa di San Leonardo), degli ospizi (alcuni diventati anche alberghi come evocato dalla Piazzetta degli Alberghi e poi abitazioni private o adibiti ad attività commerciali) e di ciò che rappresenta il clou di #SienaFrancigena, l'antico Ospedale Santa Maria della Scala con il suo Tesoro e il Pellegrinaio, durante il percorso la nostra guida Agnese ha richiamato la nostra attenzione su diversi palazzi facendoci notare le caratteristiche che rivelano il periodo di costruzione e quindi anche ciò che di Siena vedevano i viandanti giunti nelle diverse epoche.

Molti palazzi infatti sono stati rimaneggiati nel 'Settecento - 'Ottocento ma ad un occhio attento non sfuggono i tamponamenti che rivelano elementi pre-esistenti. Tale è stato l'interesse suscitato che ho voluto approfondire e cercando su Internet ho trovato la pubblicazione Siena Medievale. L'architettura civile di Fabio Gabbrielli. Per sfortuna non è più disponibile per l'acquisto; ma è presente per consultazione ad esempio nella Biblioteca Comunale di Siena.

Mi si è aperto un mondo che condividerò con voi prossimamente attraverso un percorso ideale cronologico dell'architettura civile a Siena dalle strutture turriformi a Palazzo Pubblico e oltre, attingendo anche dalle informazioni ricevute durante le molteplici visite guidate a Siena a cui ho partecipato; quindi se l'argomento vi interessa è proprio il caso di dire... stay tuned!

lunedì 15 giugno 2015

Manuale di pulizie di un monaco buddista

Manuale di pulizie di un monaco buddista di Keisuke Matsumoto

Manuale di pulizie di un monaco buddista di Keisuke Matsumoto
Antonio Vallardi Editore - 2012


Un manuale che si legge in un due mezze giornate, giusto per ammortizzare la spesa; ma anche un giorno è sufficiente.

Due concetti base del buddismo, da poter applicare anche alle pulizie, emergono da questo manuale e cioè:
- non rimandare a domani quello che si può fare oggi
- avere cura delle cose fino alla fine della loro esistenza; c'è quindi un capitoletto riservato anche alle riparazioni


Gli strumenti di lavoro e i prodotti di pulizia proposti dal monaco buddista autore del libro sono essenziali; ma non è questo il cuore del messaggio secondo me bensì la proposta di considerare "le pulizie come esercizio spirituale di purificazione dell'anima"  che si tratti di pulire la nostra casa, il nostro giardino, i nostri indumenti, il nostro corpo.

Come un lampo che squarcia la notte, leggendo questo manuale mi è sembrato che ogni gesto del pulire acquistasse un significato più nobile. Un esempio? a me piace molto stirare nel senso che stiro anche i calzini. Ebbene, l'autore di questo manuale suggerisce di "stirare  come se stessimo stirando le pieghe del nostro cuore." Non è affascinante?

Poi certo, la mia mente-razionale-contorta-da-occidentale si è messa subito in moto e mi ha posto queste domande: è così spiegazzato il tuo cuore? Oppure, le pochissime volte in cui non hai avuto voglia di stirare, è stato perché il tuo cuore era a posto? E via dicendo.

Aperta parentesi - per portare una testimonianza a livello pratico - mia mamma mi ha sempre detto che le cose stirate si sporcano di meno. Non capivo cosa volesse dire e non gliel'ho mai chiesto. L'ho scoperto però tempo fa quando una amica mi ha detto che mia mamma ha ragione perché, soprattutto con i capi in fibre naturali, il calore del ferro da stiro avvicina le trame eliminando quindi eventuali aperture dove la polvere potrebbe infilarsi. Chiusa parentesi.

Anche il cambio di stagione assume un significato nuovo per me grazie a questo manuale; mi permette cioè di "riprendere coscienza del mutare delle stagioni". E qui mi torna in mente anche l'invito che la mia insegnante di yoga ci rivolge spesso e cioè quello di riprendere il contatto con il ritmo della natura.

Viene proposta anche la pratica del decluttering, anche se non viene chiamato in questo modo. Si pulisce infatti per togliere lo sporco ma anche per liberarci da tutte quelle cose di cui ci circondiamo e che non ci servono più perché sono diventate vecchie o inutili.

C'è quindi un invito alla gratitudine verso coloro che hanno fabbricato gli oggetti di cui abbiamo bisogno e anche all'utilizzo di tali oggetti fino all'esaurimento delle loro potenzialità per poi eventualmente donarli a chi ancora ne può fare buon uso.

Un altro punto che mi ha colpito molto è stato quello della pulizia delle finestre poiché "le finestre sono in qualche modo legate alla giusta visione delle cose e pulirle fino a farle sembrare trasparenti, fino, cioè, a farci dimenticare della loro esistenza, ci permette di vedere dall’altra parte senza renderci conto che c’è qualcosa che ci separa. Puliamole, dunque, fino a far sparire ogni ombra".

Leggendo questo manuale non ho potuto fare a meno di pensare alla mia amica Gaia, maniaca delle pulizie (Gaia, se mi stai leggendo, batti un colpo!). Certo è che si prova una piacevole sensazione quando si è  ospiti a casa sua. Afferma infatti il manuale che "Il presupposto dell'accoglienza è la pulizia." Spesso la prendo in giro perché mi sembra esagerata ma il manuale ha previsto questa mia obiezione e mi ha risposto dicendomi che "Il segreto è pulire tutti i giorni per impedire che la polvere si depositi e che i pensieri ci oscurino l'anima." Chissà se Gaia ha mai pensato alle pulizie in questo modo :-)

Cosa ho fatto a fine lettura? Ho spalancato le finestre di casa per sentire il cambio di stagione, ho aperto l'armadio, raccolto i maglioni e vestiti invernali per lavarli, asciugarli, stirarli e metterli a posto e ho aggiornato mentalmente la mia tabella di marcia riguardo al piano pulizie casa e al decluttering.

L'ultimo vero decluttering che ho fatto è stato nel 2005 quando mi sono trasferita nella mia attuale casa. È tempo di metterne in atto un altro!

Sapete cosa? mi piacerebbe molto sapere se avete mai pensato alle pulizie in questo modo.

lunedì 8 giugno 2015

Ex Manicomio San Niccolò di Siena

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

Il ventinove maggio scorso ho partecipato ad una passeggiata culturale nel Villaggio Manicomiale di San Niccolò di Siena organizzata dal FAI giovani - Siena e guidata da Davide Orsini.

Nonostante la delusione per non aver potuto visitare il padiglione dei 'clamorosi' -non era scritto nel programma ma mi ero illusa lo stesso- la nostra guida è stata così coinvolgente e appassionata nel suo racconto che mi è sembrato di visitarlo lo stesso.

Ecco il mio reportage.

Si chiama villaggio manicomiale poiché è formato da diversi edifici, oggi diremmo diffuso, con valore sanitario e curativo.

L'edificio centrale del manicomio oggi ospita l'Università degli Studi di Siena.

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

E' nella seconda metà del Settecento che ci si comincia a preoccupare dei malati. Il Granduca decide che queste persone vanno rinchiuse. La cura arriverà nell'Ottocento.

Il 'manicomio' era sinonimo di 'luogo altro'. Colui che si occupava dei matti era l'alienista.

A Venezia ad esempio il manicomio venne costruito in un'isola lontana. A Siena cosa si fa? Si sceglie il luogo più 'altro'.

L'edificio centrale del manicomio di Siena è stato un convento di clausura. Nel 1814-1815 questo convento si libera per via del Granducato prima e di Napoleone poi. L'edificio viene quindi svuotato e viene scelto proprio perché ex convento di clausura, quindi ben isolato e ben predisposto.

Il 6 dicembre 1818 apre il manicomio a Siena.

Prima di tale data c'era una piccola casa per il ricovero dei matti fuori porta San Marco. Poi un editto del Granducato spostò tutto a Firenze, a San Bonifacio; solo che divenne troppo affollato quindi con un altro decreto il Granducato dispose che ognuno si riprendesse i suoi matti. A Siena vennero portati in via di Fontanella e finalmente al San Niccolò.

Le finestre erano sbarrate ma rimaneva il problema di chiudere il manicomio dalla parte che dava verso la città.  Da un lato c'erano le mura, dall'altro la vallata; l'unico problema era quello di Porta Romana. Venne allora presa la cancellata e portata qui. La cancellata verrà sostituita quando il manicomio si estenderà oltre Porta Romana.

La storia della reclusione dei matti a Siena va dal 1818 al 1858.

In realtà bisogna fare un distinguo. Nel 1819 il San Niccolò non è ospedale ma ricovero per tignosi, coloro cioè che avevano malattie della pelle quindi non matti - ma c'era comunque il desiderio di allontanarli -, per gravide occulte, cioè le donne rese madri da 'illeciti amori' cosa già assurda di per se per noi oggi ma aggravata dal fatto che i bambini che nascevano al San Niccolò ci rimanevano - era senz'altro meglio la sacra ruota degli esposti del Santa Maria della Scala - e per dementi, forse gli unici che avrebbero dovuto tenere qui dentro.

Si trattava di tre categorie che la società del tempo non voleva.

Queste persone convivono per quarant'anni in questo ex-monastero. Si alternano tre direttori: un farmacista, un medico e l'altro non si sa. Uomini di scienza ma che non avevano alcun interesse nel manicomio. Erano uomini che lavoravano al Santa Maria della Scala, nella spezieria, ai quali era stato proposto di dirigere questo posto senza mai venirci di persona.

La svolta ci fu nel 1858. In Europa il sapere sulle malattie mentali era molto avanzato. Carlo Livi diventa direttore. E' giovane, ha girato l'Europa e ha voglia di fare. Ecco cosa dice quando entra al San Niccolò: "Entrando trovai una sorta di alveare fatto di corridoi bui e sporchi sui quali si aprivano delle celle e i malati erano lì ammontinati."

Questa è la realtà che trova che per l'epoca moderna non è accettabile e allora pone mano al rifacimento del manicomio.

È lui che decide per il villaggio manicomiale; la maggior parte dei manicomi infatti sono fatti a raggiera per garantire la sorveglianza costante. Qui gli edifici sono posizionati in varie zone della Collina dei Servi.

Chiama Francesco Azzurri, architetto romano che ha già costruito ospedali e manicomi per l'Italia.

Livi gli dà delle direttive precise:
- distinzione tra sessi,
- distinzione per malattie: le donne e i bambini intanto li manda via; predispone una zona per i tignosi e un'altra per i matti.
- una stanza per il medico che dovrà stare notte e giorno al San Niccolò. Prima dell'arrivo di Livi in caso di necessità un servo del San Niccolò partiva e andava al Santa Maria della Scala a chiamare il medico che veniva appena si rendeva disponibile.

Fa una scelta importante. Prima però una premessa per contestualizzare il momento storico: le più moderne teorie di psichiatria del momento (la farmacologia non esisteva ancora, compare nel 'Novecento inoltrato) prevedono come cura decotti, purganti, salassi che però non fanno niente, magari peggiorano la situazione.

Livi invece cosa fa? tenta di recuperare i recuperabili attraverso il lavoro. Sorgono quindi le officine ancora oggi riconoscibili da un'insegna esterna. Sorge la colonia agricola sbancando la Collina dei Servi e creando i terrazzamenti da coltivare. Lo fanno i malati insieme agli operai del San Niccolò.

Avviene che si tenta di portare il malato ad una vita normale vivendo in una struttura comunque chiusa. Ci si alza, ci si veste, si fa colazione e, attraverso un ponte di collegamento coperto (oggi chiuso), si va al lavoro. Si torna. Si mangia. Si fa pausa. Si ritorna al lavoro.

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

Si tenta di dare una vita quotidiana normale scandita dal lavoro. Si cerca di fargli fare quello che il malato faceva prima di venire nel manicomio quindi il fabbro, il sarto, il vetraio, il verniciaio, il falegname fino a far diventare il San Niccolò una struttura autosufficiente come lo era da secoli il Santa Maria della Scala. Addirittura il San Niccolò comincia ad introitare denaro quando si accorgono che sono in grado di fare stivaletti in morbidissima pelle che le signore di Siena fanno a gara per avere.

Ex Manicomio San Niccolò di Siena

Verso la metà dell'Ottocento  si presenta un problema grosso: Siena è costretta a ricoverare anche i matti di Arezzo, Grosseto e tutto l'alto Lazio e il viterbese. Si arriva a più di 2500 matti tra le due guerre. Un numero così alto di malati era possibile tenerli qui dentro solo grazie ai psicofarmaci che li facevano dormire anche perché per ogni cinquecento malati c'era solo un infermiere psichiatrico.

Immaginatevi la situazione: il cancello era chiuso dall'esterno e l'infermiere psichiatrico rimaneva all'interno insieme ai malati per controllarli. Doveva controllare anche se erano vivi.  Non aveva però le chiavi per uscire perché i malati avrebbero potuto impossessarsene. Ma poteva capitare anche che l'infermiere fosse aggredito dai malati, cosa che capitò.

Francesco Azzurri tra il 1870-1890 provvede al rifacimento della parte principale del San Nicolò. Anche la bellezza veniva richiesta. Doveva sembrare una 'villa' che sta tra la campagna e la città con un grande parco; solo che quando si passava di lì era impossibile non capire cosa ci fosse all'interno. Infatti i senesi ricordano ancora le urla che provenivano dall'interno.

Nel piano di sotto del San Niccolò c'era una cisterna. L'acqua era un problema reale; infatti dai bottini l'aqua di Fonte Gaia arrivava e arriva tutt'oggi fino alla Fonte di San Maurizio. Al San Niccolò l'acqua serviva per le cucine e le lavanderie. L'acqua serviva anche per l'idroterapia, l'unica terapia che somigliava a qualcosa di medico dall' Ottocento a inizio del 'Novecento. In cosa consisteva? i matti venivano messi a mollo per tre/cinque ore in acqua tiepida o calda per calmare quelli agitati; in acqua fredda per risvegliare quelli un po' più mosci.

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

Oltre la cisterna ci sono gli spazi che ospitavano i servizi e proseguendo fino all'uscita ci si ritrova nel retro dove furono inglobate le strutture che c'erano e che via via le monache avevano acquistato.

Ad un certo punto la lavanderia qui non è più sufficiente e vengono costruiti i quartieri Lodoli, Chiariti e altri locali di servizio.

Siena: Ex Manicomio San Niccolò

C'è un risvolto ancora più doloroso. Lo stesso Livi dice "per alcuni (matti) non posso fare nulla." Sono incurabili, sono solo da contenere; quindi fa costruire un padiglione per gli agitati (i clamorosi) che verrà chiamato Padiglione Conolly.

Ex Manicomio San Niccolò di Siena
Foto presa dalla pagina Facebook FAI giovani Siena

La struttura, usata da un carcere americano e composta da tre semicerchi, è detta Panopticon perché un unico sorvegliante riesce a controllare i malati posti in queste celle a forma trapezoidale che hanno un cancello e una porta in legno che veniva chiusa quando rompevano troppo le scatole.  Il giardino non era usato dal malato perché il cancello era sempre chiuso. Il pavimento era di cemento con uno scolo per i liquidi; il letto era di ferro con le gambe murate nel pavimento. Ciascun letto aveva gli strumenti atti a tenere ferme le braccia e le gambe; erano letti di contenzione. Per uno strano destino è intitolato a Conolly, uno studioso americano dell'Ottocento che trascorse la sua vita sostenendo che il malato di mente non deve essere rinchiuso ma curato e messo in mezzo alla gente.

Ex Manicomio San Niccolò di Siena
Foto presa da L'Orto de' Pecci nella valle di Porta Giustizia a cura di Costante Vasconetto

Livi andrà via nel 1873, prima che il Padiglione Conolly venga ultimato, perché a Siena non lo seguono. Due medici suoi allievi dirigeranno il manicomio fino al 1907. Fino a questa data il San Niccolò di Siena è all'avanguardia perché si pensa a curare i malati.

Con la prima guerra mondiale la popolazione manicomiale aumenta perché tanti ragazzi preferiscono rinchiudersi qui invece di andare a combattere per l'Italia, per evitare di essere considerati disertori. Molti entrarono a ragione nel manicomio tornati dalla guerra perché segnati nell'anima e nella mente e non guarirono più. Se si leggono le cartelle cliniche ci si rende conto. Le cartelle del 'Ottocento in confronto fanno sorridere.

La legge che impose la chiusura dei manicomi risale al 1978. Il manicomio di Siena chiuse il 30 settembre del 1999.

Ex Manicomio San Niccolò di Siena

Piange il cuore vedere il Panopticon crollare a vista d'occhio. Di chi è la proprietà, vi starete domandando? E' stato chiesto anche a Davide Orsini ma la risposta è abbastanza ingarbugliata.

Io vedo le rovine del Panopticon dalla Sala di Yoga della Corte dei Miracoli da dove ho scattato la foto sopra e, non ci crederete, ma un certo struggimento mi assale provando ad immaginare la sofferenza e la storia personale di chi ha abitato quelle celle.

Diventerebbe una location bellissima, secondo me, se chi di dovere o potere ristrutturasse questo luogo e gli desse una destinazione socialmente utile conservando la memoria di quello che è stato.

Sarebbe bellissimo.